Fantasmi, realtà e follia. Intervista a Roger Ballen

Parola al fotografo newyorkese, in mostra alla galleria Carla Sozzani di Milano con una serie di scatti che ne ripercorrono la carriera.

The Body, the Mind, the Space è il titolo della mostra di Roger Ballen (New York, 1950) alla galleria Carla Sozzani di Milano. Il fotografo newyorkese, che vive dagli Anni Settanta in Sudafrica, come al solito, ci pone di fronte a lavori sorprendenti, grotteschi, spiazzanti.
Lo spettatore è accolto da un’installazione con una donna seduta su una poltrona. In un luogo di culto della moda, Ballen ha realizzato un’opera provocatoria con una vecchia signora mal messa, per nulla sexy, anzi decisamente brutta. Ricorda la madre di Anthony Perkins in Psycho o Bette Davis in una scena di Che fine ha fatto Baby Jane?. La mostra presenta oltre quarant’anni di lavori di uno degli artisti più originali e sconvolgenti che attualmente lavorano con il linguaggio fotografico. La rassegna è divisa in cinque parti. Abbiamo chiesto a Ballen di aiutarci a capire le sue scelte espositive.
Con i curatori della Fondazione Sozzani abbiamo pensato che sarebbe stato più significativo dividere la mostra in varie sezioni per aiutare gli spettatori a capire meglio l’estetica Ballenesque. È per me evidente che molte delle persone che vedono le mie fotografie sperimentino un’inspiegabile capacità delle immagini di penetrare nel loro subconscio. Come e perché ciò avvenga è difficile da capire, ma è un fatto che sembra accadere spesso. È evidente che le mie fotografie contengono simboli archetipici che suscitano una risposta comune ovunque siano visti”.

L’INTERVISTA

Il titolo della tua recente monografia, Ballenesque (Thames and Hudson), pare racchiudere la tua poetica artistica, il senso della tua ricerca. In essa mi sembra di potere rintracciare numerosi padri e madri sia in ambito fotografico che artistico: da Lee Friedländer a Diane Arbus, dal Surrealismo all’Art Brut. Vogliamo parlarne?
Ho fotografato per oltre cinquant’anni, a partire dalla fine degli Anni Sessanta, quando mia madre, Adrienne, si era unita all’agenzia Magnum. Conversando con lei e in particolare attraverso la sua collezione, ho conosciuto il lavoro di molti fotografi, alcuni dei quali storicamente importanti. Tra quelli che all’epoca mi hanno influenzato: Henri Cartier-Bresson (il momento decisivo), Elliott Erwitt (l’umoristico e l’assurdo) e Ralph Eugene Meatyard (l’elemento psicologico).

E poi?
Nel 1997, le mie fotografie cessarono di essere ritratti nel senso tradizionale del termine e divennero invece immagini in cui i soggetti, sia animali che umani, entravano a far parte di un teatro silenzioso, messo in scena in un mondo minimalista. La fotografia Cat Catcher (cacciatore di gatti), del 1998, è un primo esempio di questo approccio. L’idea di usare il disegno nelle mie fotografie è nata dall’interazione con i soggetti, molti dei quali avevano l’abitudine di disegnare sui muri delle loro stanze. È chiaro per me che il fondamento della mia arte, nell’ultimo decennio, è emerso dall’esperienza di fotografare in questi luoghi, che ho genericamente definito Outland. Qui ho posto le basi per la mia visione, nella quale il comico si collega al tragico, la follia è la norma e non l’eccezione.

Roger Ballen, Cat Catcher, 1998 © Roger Ballen

Roger Ballen, Cat Catcher, 1998 © Roger Ballen

Mi piacerebbe approfondire il tema della follia, come momento universale nella storia dell’uomo, componente fondamentale dell’umanità, come ha spiegato nel suo saggio Michel Foucault oltre cinquant’anni fa. Attraverso le tue immagini, in cui uomini e animali sono posti in stretto rapporto, si aprono in tal senso molti quesiti, ai quali non bisogna per forza fornire delle risposte. Il giovane uomo che tiene un gatto per la collottola, Cat Catcher, appunto, mi pare un’immagine emblematica in tal senso. 
I luoghi in cui lavoro spesso sono violenti e socialmente caotici. Persone che hanno lavorato nelle prigioni, in istituti mentali o devono lottare anche solo per trovare i mezzi per nutrirsi, dominano gli ambienti di cui sono stato partecipe. Le mie fotografie ritraggono un mondo frammentato, fatto di oggetti rotti, di paura della morte e dell’annientamento, di animali perduti, un ambiente caotico che fonde la realtà con la finzione, la realtà con l’immaginario… Uno spazio mentale archetipico che ci collega a un mondo nebuloso.

Nel tuo lavoro trova spesso spazio la crudeltà o è semplicemente un lavoro sulla realtà in cui è compresa la crudeltà?
No, non è su nessuna di queste cose. Non sappiamo cosa sia la realtà dell’essere umano, non possiamo capire la realtà. È, piuttosto, una trasformazione del mondo di cui si occupa la mente di Roger Ballen, che riguarda l’estetica multidimensionale di Roger Ballen. Il mio è un lavoro sulla psiche in cui vengono presi in esame e posti di fronte all’obiettivo i comportamenti delle persone. Molto di quanto ho fotografato nel corso degli anni sarebbe difficile da spiegare a parole. Se un’immagine è troppo comprensibile, troppo facile da descrivere e da spiegare, allora vuol dire che non è una buona immagine.

È così in generale per l’arte. I fenomeni interessanti pongono molte domande, ma soprattutto non offrono un’unica risposta. Restano quesiti aperti.
Sono una provocazione per il subconscio, che è obbligato a guardarsi dentro con maggiore profondità. Sono una sfida di natura percettiva.

La seconda parte della mostra è intitolata The Mind.
Sono foto scattate tra il 2005 e il 2013-14. Sono disegni che ho fatto sulla superficie dei vetri delle finestre, che poi ho fotografato.

Roger Ballen, Duality, 2013 © Roger Ballen

Roger Ballen, Duality, 2013 © Roger Ballen

Sembrano incubi del subconscio, mostri della nostra coscienza.
Sono immagini primordiali della nostra mente, archetipi primitivi. Come i disegni sulle pareti delle caverne. Il loro aspetto ricorda delle presenze-assenze, dei fantasmi.

Hai scritto, a proposito di The Mind: “Non esiste una maniera accurata per descrivere questo luogo, è molto difficile da raggiungere”. Di che luogo stiamo parlando?
Proprio della mente. La mente reagisce a quanto penetra nel subconscio provocando delle reazioni.

Hai intitolato la terza parte della mostra The Space.
Sono fotografie più recenti, vengono da due o tre serie diverse. Una serie si chiama Shadow Chamber. Il muro è spoglio. Ci sono dei graffiti.

Parecchi artisti hanno fotografato i graffiti, da Lee Friedländer a Franco Vaccari, che, nel 1966, ha fatto un bellissimo libro d’artista intitolato Le tracce.
In realtà la serie sui graffiti con animali è più recente ed è inedita. Sono come fotografie di scena, come set teatrali.

Dove hai scattato queste foto?
Tutte le foto sono state fatte a Johannesburg. Tranne quella con il ragazzo con la rana. Fanno parte di una serie intitolata Asylum of the birds, ci sono animali diversi tra loro, galline, anatre, gatti, topi.

Gli animali sono simbolici nel tuo lavoro?
Certo, lo sono. Ma tutto lo è. Le mie sono metafore visive.

Roger Ballen, Alter Ego 6066, 2010 © Roger Ballen

Roger Ballen, Alter Ego 6066, 2010 © Roger Ballen

Qual è il tuo legame, sempre che ci sia, con il Surrealismo?
Il mio è un misto di Art Brut, di Surrealismo e di Roger Ballen. Sono immagini di frangenti.
Hanno questo impatto straniante perché sono reali. Questa donna sta per morire, domani sarà morta probabilmente e ne puoi cogliere il dolore. È la realtà, è un’installazione attiva, è un sistema seriale attivo, è documentazione, è una mescolanza di cose. E la realtà non è necessariamente solo una. Cos’è la realtà? Non puoi descriverlo. L’unico modo per farlo sarebbe conoscere l’inizio e la fine dell’universo e come le cose accadono.

Come tutti i lavori veramente interessanti, il tuo lavoro esce da ogni possibile catalogazione.
Per questo ho avuto il coraggio di chiamare il libro che qui presento Ballenesque. Ballenesque viene da Ballen, è la mia estetica.

In un’opera di questo tipo io colgo dei riferimenti quasi ironici nei confronti del concetto di sacro.
Questa stanza è molto spirituale. La mente, i fantasmi e l’invisibile.

C’è anche la natività.
Certo, hai ragione, c’è anche quella.

‒ Angela Madesani

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Angela Madesani

Angela Madesani

Storica dell’arte e curatrice indipendente, è autrice, fra le altre cose, del volume “Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia”, di “Storia della fotografia” per i tipi di Bruno Mondadori e di “Le intelligenze dell’arte”…

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