A Rovereto il Novecento di Depero, Garbari e Melotti

Il dialogo fra Depero, Garbari e Melotti è protagonista della mostra allestita alla galleria Studio 53 Arte di Rovereto.

La mostra allestita allo Studio 53 Arte di Rovereto supplisce, almeno temporaneamente, alla chiusura del MART per le norme antipandemiche. Un vero esempio dello sforzo compiuto da molte gallerie in vista della ripartenza. Nel caso di Rovereto, tutto ciò avviene grazie al lavoro di tre curatori e ad altrettanti cataloghi, uno per ciascuno degli artisti.

FORTUNATO DEPERO

Le opere di Fortunato Depero testimoniano la produzione realizzata negli Anni Venti e quella a seguire e ciò perché, come sostiene il curatore, si assiste al passaggio dall’“Arte meccanica a quella della Simultaneità urbana”. L’opera che meglio rappresenta questa importante fase è Big Sale (1929). Gli altri quadri esposti – come Gara ippica tra le nubi (1924), Scarabeo veneziano (Il gondoliere) (1927), Paesaggio alpestre cristallizzato (lunare) (1936), Natura morta accesa (1936), Donne al tropico (1945) e Piante grasse (Vaso di fiori) (1946) – sottolineano la particolare linea pittorica che fa di Depero “un futurista atipico, eccentrico, tutt’altro che allineato ai dettami futuristi”.

TULLIO GARBARI

Tullio Garbari, definito da Carlo Belli un “maestro di vita e di arte”, si divideva fra Pergine e Parigi, ma soggiornava anche in altre città italiane come Firenze (dove collaborò alla rivista La Voce, fondata nel 1908 da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini), Milano, Roma a Valle Giulia e Venezia, dove giovanissimo fu inserito nella mostra dei “ribelli di Ca’ Pesaro”. Gino Severini parla della sua poetica come di “un sentiero con mezzi profondamente spirituali e umani”.
La teologia garbariana prende piede dall’intenso confronto filosofico con Jacques Maritain e nelle opere realizzate tra il 1919 e il 1927 “assume su di sé tutto l’uomo e lo rifà nuovo”. Di questo periodo perginese un nucleo consistente di opere in mostra sono inedite e testimoniano quanto fossero radicate le sue origini espressive nonostante il percorso internazionale e gli incontri artistici parigini.

Fausto Melotti, Geisha col cappello a foggia di giudizio di Paride, 1980, ottone, tessuto dipinto, 83x30x15 cm. Courtesy Studio 53 Arte. Photo © Paolo Vandrasch

Fausto Melotti, Geisha col cappello a foggia di giudizio di Paride, 1980, ottone, tessuto dipinto, 83x30x15 cm. Courtesy Studio 53 Arte. Photo © Paolo Vandrasch

FAUSTO MELOTTI

Di Fausto Melotti si segnala la particolare qualità delle opere proposte: basti pensare al teatrino Paradiso (1957), l’opera più datata fra quelle esposte. Una terracotta con una scena che si dispone su due piani insieme a sei figure “policrome” che mostra il tipico spazio melottiano. La misura e l’equilibrio di Melotti sono presenti in tutte le opere e in particolare nel capolavoro Geisha con il cappello a foggia di giudizio di Paride (1980). Le altre opere invece, come Le scale di Giacobbe (1974), Il canto di Femio (1966), il gesso Senza titolo 4B (1964) e La salita dell’Olimpo (1979), hanno la costante della “verticalità”. Sono, a loro modo, anche curiose perché alludono a una ascesa, sottolineata dalla presenza visiva diretta di scale e di spirali. Sono presenti altre opere importanti che sollecitano il visitatore a una sorta di percorso che lo conduce, come sempre, fra strutture leggere e poetiche.

Claudio Cucco

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Claudio Cucco

Claudio Cucco

Claudio Cucco (Malles Venosta, 1954) attualmente è residente a Rovereto. I suoi studi di Filosofia sono stati fatti a Bologna, è direttore della Biblioteca di Calliano (TN) e critico d’arte. S’interessa principalmente di arte contemporanea e di architettura e dell’editoria…

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