Tra realtà e incanto. La pittura di Francesco Trombadori a Roma

Galleria d’Arte Moderna, Roma ‒ fino all’11 febbraio 2018. La carriera artistica di Francesco Trombadori rivive nella mostra capitolina. Fra rimandi e nuovi spunti.

C’era una volta la terza saletta del Caffè Aragno. Nella penombra color tabacco, tra i tavolini di ferro e marmo, di quelli che ancora oggi si possono trovare in qualche vecchia, sparuta latteria trasteverina ‒ abbiamo negli occhi il dipinto-documento di Amerigo Bartoli, Gli amici al caffè ‒ nasceva e si alimentava la vita culturale, politica, artistica della Capitale. Vi si potevano incontrare Marinetti, Pirandello, Longhi, Cardarelli, i fratelli Bragaglia, Ungaretti, Gallian, de Chirico e Francesco Trombadori (Siracusa, 1886 ‒ Roma, 1961). Che partì da Ortigia (Siracusa), intorno al 1907, per frequentare la prestigiosa Accademia di Belle Arti di Via di Ripetta e divenne subito assiduo frequentatore del vivace Caffè assieme ai suoi compagni di corso: Oppo, Bartoli, Broglio e Guidi.

I MAESTRI

A Francesco Trombadori, che scelse Roma come patria elettiva e andò a vivere e a lavorare in quel piccolo eden degli artisti che era la suggestiva e alquanto misteriosa Villa Strohl-Fern, la Galleria d’Arte Moderna dedica oggi una mostra antologica, che per la prima volta ne delinea tutto l’itinerario artistico. Dalle prime pennellate rapide e guizzanti, secondo la maniera divisionista, alla riscoperta della tradizione nativa attraverso lo studio degli antichi maestri – Piero della Francesca, Masaccio, Antonello da Messina – appresi con uno sguardo a Cézanne e al contiguo Morandi. Quindi la prossimità alla Ronda di Cecchi e Cardarelli, a Valori Plastici di Broglio, al Magischer Realismus di Franz Roh, al Novecento di Margherita Sarfatti, alla Scuola Romana di Scipione e Mafai.

Francesco Trombadori, Trinità dei Monti, 1959. Collezione Donatella Trombadori, Roma

Francesco Trombadori, Trinità dei Monti, 1959. Collezione Donatella Trombadori, Roma

LA MOSTRA

Percorriamo e ripercorriamo le diverse sezioni tematiche della mostra con quella curiosità fanciullesca che accompagna sovente l’impaziente attesa di un dono. Vediamo i nudi composti, i ritratti d’occasione, le nature morte dall’impianto classicheggiante affacciarsi come da un ideale proscenio chiuso, sullo sfondo, da modeste, disadorne quinte teatrali. E quei paesaggi che diverranno, a partire dagli Anni Quaranta, tema dominante di una perseverata poetica del silenzio, ci appaiono essi stessi come studiate quinte scenografiche sorprese nell’istante indefinito e fatale che dà l’abbrivio alla commedia o al dramma. Trombadori giunge all’astrazione senza rinunciare alla rappresentazione, alla ricerca figurale, alla tangibile concretezza della percezione, nell’intento audace ‒ come ebbe a scrivere in una lettera a Vanni Scheiwiller con quell’espressione venata di metafisica che ha dato il titolo alla mostra ‒ di esprimere l’essenziale verità delle cose.

Luigi Capano

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Luigi Capano

Luigi Capano

Di professione ingegnere elettronico, si dedica da diversi anni all’organizzazione di eventi culturali sia presso Gallerie private che in spazi istituzionali. Suoi articoli d’arte sono apparsi su periodici informatici e cartacei: Rivista dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, Expreso…

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