A Napoli le vene del drago del Feng Shui invadono una galleria 

Nella nuova sede di Casa Di Marino, l’artista portoghese Ana Manso porta le sue opere dal grande impatto avvolgente, che riprendono la pittura e la tradizione cinese del Feng Shui

Con dragon veinAna Manso (Lisbona, 1984) inaugura un nuovo capitolo della sua ricerca all’interno della nuova sede della Galleria Umberto Di Marino, Casa Di Marino, in Via Monte di Dio a Napoli. È un passaggio carico di significato: le opere recenti dell’artista portoghese non si limitano infatti a esplorare la pittura, ma sembrano costruire spazi percettivi in cui memoria e realtà si stratificano, si confondono, si dissolvono.

Le vene del drago protagoniste della mostra di Ana Manso

Il titolo richiama un concetto del Feng Shui: le “vene del drago” sono correnti energetiche invisibili che attraversano il paesaggio, modellandolo. Così Manso dipinge, sedimentando forme e tracce che non cercano una logica, ma lasciano affiorare un ritmo interno, fatto di tensioni, attriti e allusioni. Il confine tra astrazione e figurazione è sottile: architetture evocate, frammenti di luce, ombre appena suggerite. La pittura fornisce qui gli strumenti per modellare una mappa mentale che si costruisce nel tempo.

Le opere di Ana Manso a Casa Di Marino a Napoli

Nella nuova sede della galleria, le opere di Ana Manso si dispongono lungo le pareti come presenze silenziose, in una coreografia misurata che lascia respirare lo spazio. Il candore delle superfici accoglie le tele come se volessero contenerne il tumulto, ma è proprio da questo contrasto che nasce un’energia sottile e vibrante. L’allestimento diventa così parte integrante dell’esperienza: uno spazio sospeso dove la quiete dell’ambiente amplifica il moto interno delle opere. Lo spettatore è trascinato in un paesaggio emotivo che si svela lentamente, dove lo sguardo si perde e la memoria si attiva, danzando tra le pieghe di ciò che affiora e ciò che sfugge.

La pittura cinese nelle opere di Ana Manso a Napoli

In questa pratica si avverte l’eco della pittura cinese e dei texture strokes di Wang Yuanqi, lungi dal proporsi come citazione di essa: piuttosto come affinità poetica, come tentativo di tradurre il paesaggio nella lingua della memoria. Ogni tela diviene così un territorio fluido, un giardino di sentieri che si biforcano, dove l’indefinibile geometria delle scelte si moltiplica e ogni direzione resta possibile.
Manso non offre certezze, ma uno spazio da abitare con lo sguardo, in cui perdersi è forse la forma più precisa del vedere.

Diana Cava

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