Claudio Rotta Loria in mostra nelle Marche. Sessant’anni di carriera fino all’AI

Una mostra al TOMAV di Moresco ripercorre il lavoro dell’artista, dalle opere degli Anni ’60 fino ad oggi. In questa intervista il maestro dell’arte programmata condivide il suo pensiero dai monocromi alle ultime tecnologie

Classe 1949, Claudio Rotta Loria è un maestro dell’arte italiana. Il suo lavoro sfugge le numerose etichette in cui si tenta di inquadrarlo: arte programmata, ottico-cinetica, analitica, minimale. Dalla fine degli anni Sessanta Rotta Loria porta avanti un percorso di ricerca e sperimentazione artistica che si caratterizza per la particolare attenzione al metodo e alle procedure che danno luogo all’opera.
Nella personale inaugurata al TOMAV di Moresco, nelle Marche, sono presenti i lavori del ciclo “Superfici a interferenza luminosa“, iniziato dall’artista nel 1968-69. 
Rotta Loria racconta l’esposizione, intitolata Geometrie di luce. Nei riflessi della riflessione a cura di Antonello Tolve in questa intervista.

Come nascono le opere in mostra? 
Le “Superfici a interferenza luminosa” avevano inizialmente finalità didattiche, sono nate come materiali per esercitazioni sulla struttura, la texture e la superficie nella loro relazione con la luce. Si trattava di forme cilindriche in cartoncino operato, la cui rotondità consentiva svariate operazioni di verifica degli accadimenti percettivi innescati da minimi sollevamenti di una superficie diversamente illuminata. L’obiettivo era di indagare le condizioni di possibilità e di variazione strutturale, formale e cromatica in gioco nel processo di formazione di un’opera. Successivamente, queste ricerche si sono caratterizzate come un lavoro sulla superficie intesa come estensione di elementi modulari con orientamento e inclinazione determinati in aggetto sul piano dell’opera.

Cosa succede poi?
Tali elementi basici, hanno un ruolo centrale: sono costitutivi della superficie in quanto totalità strutturale. Di forma quadrata, rettangolare o circolare, per lo più di piccole-piccolissime dimensioni, questi moduli lamellari sono ottenuti per taglio e sollevamento del cartoncino che rende visibile il sottostante colore fluorescente. Altre volte, colorati di fluorescente nella parte nascosta all’osservatore e applicati sul cartoncino intonso di fondo, danno luogo a effetti d’aura e di rifrazione cromatica.

Cosa si nasconde dietro la volontà di mettere a riposo la figurazione a favore di ciò che la sottende? La riduzione che mette in atto è pulizia del pensiero o c’è dell’altro?
Sul finire del Sessantotto, a diciannove anni, esaurita l’esperienza figurativa, do inizio a una serie di ricerche, di sperimentazioni per giungere a un’identità espressiva. Nel giro di qualche anno, a scavalco di quel decennio, realizzo i miei primi lavori a dominante geometrico-costruttiva. Sono anni di generale e straordinario fermento che investe non solo la dimensione sociale e politica della società, ma anche quella delle arti in cui è in corso un processo radicale di ridefinizione dei linguaggi. Nelle arti visive, in particolare, si assiste al culmine di una tendenza che, nata dal lontano divorzio dell’arte astratta dall’arte figurativa ad opera di Kandinsky, Kupka, Mondrian, si interroga sull’aspetto linguistico dell’opera. 

Ci spieghi meglio…
La formazione di un pensiero programmatico e progettuale del fare arte che si basa sull’idea dell’opera come sistema regolato, di un atteggiamento riflessivo sulle modalità della sua elaborazione e realizzazione, il richiamo alla riduzione, al grado zero teorizzato sul versante della critica semiologica da Roland Barthes, insieme alla radicalità delle pratiche concettuali che portano alle estreme conseguenze le modalità del fare, sono solo alcuni elementi di una scena in straordinario mutamento. La mia scelta aniconica avviene in questo clima.

Claudio Rotta Loria, Superfici a Interferenza Luminosa a variazione programmata, 2019
Claudio Rotta Loria, Superfici a Interferenza Luminosa a variazione programmata, 2019

A differenza dell’Arte Programmata le sue opere mantengono un calore di fondo che fa vivere l’opera e permette al fruitore di perdersi in essa. Ciò può dipendere dal fatto che nella sua ricerca il lavoro umano sia una costante ineliminabile?
Anche le più radicali esperienze artistiche di azzeramento e riduzione messe in atto nel “lungo decennio” in realtà mostrano nelle opere di cui sono prodotto sempre sedimenti di sensibilità, emotività, calore, derivanti dalla fisicità del materiale con cui sono realizzate. Non diversamente, “effetti di sorprendente (misurato) brusio visivo” come ha felicemente osservato Antonello Tolve, non nego possano caratterizzare la fruizione dei miei lavori, nonostante che la resa sensibile dell’opera non sia tra i fini da me perseguiti intenzionalmente nel corso della realizzazione di un lavoro (la ricerca dell’effetto gratuito è tra le cose che abborro di più). 

A cos’è dovuto?
In parte all’impiego di cartoni e carte, materiali poveri per eccellenza con una propria sensibilità, che viene esaltata dall’ intervento pittorico. Quest’ultimo per quanto sempre da me attuato con misura e controllo, produce una diversificata attivazione di stimoli sensoriali che, in ultima analisi sono propri del fare pittura. Verosimilmente sono questi i motivi a cui lei allude nella sua domanda che differenziano i miei lavori da gran parte delle opere dell’arte programmata, di cui peraltro ho condiviso iniziali modus operandi.

Possiamo considerare i suoi lavori come dei monocromi?
Il monocromo è la condizione a priori della concezione stessa delle opere del ciclo “Spazializzazioni di forma elementare”. Si tratta di un requisito necessario e indispensabile alla loro realizzazione. Il bianco totale insieme all’esistenza di una sorgente luminosa variamente inclinata sono gli elementi indispensabili al campo di accadimenti in cui i minimi sollevamenti della superficie danno luogo a una straordinaria gradualità di luci e ombre cangianti, consentendo una lettura dell’articolazione strutturale dell’opera e più in generale la sua fruizione. Il bianco insieme al nero (da me impiegato con minore frequenza) sono i colori che caratterizzano questo ciclo di opere. 

Claudio Rotta Loria, Superfici a Interferenza Luminosa Pulsar, 2021
Claudio Rotta Loria, Superfici a Interferenza Luminosa Pulsar, 2021

Quindi?
Di tutti i miei lavori, le “Spazializzazioni di forma elementare” esemplificano il caso concreto in cui il monocromo è la condizione per l’esercizio di una grammatica elementare, per pratiche di riduzione, azzeramento e indagine sui minimi. A confronto di ciò, gli “Interventi d’ambiente” testimoniano addirittura maggiore radicalità, per via dell’azzeramento della forma che si risolve in strutture elementari dal bianco assoluto disposte in natura, in un dialogo col decorso del sole, la direzione delle ombre e le linee d’acqua raggiunte per l’alternarsi delle maree. Anche molte “Superfici a interferenza luminosa” sono opere monocrome, in particolare una parte di quelle realizzate a partire dagli anni Ottanta. La loro particolarità è che essendo la facciata dei moduli retro dipinta di colore fluorescente, questo produce cangianti effetti luminosi sul bianco assoluto del fondo con esiti inaspettati d’aura pulsante.

Che rapporto mantengono queste opere con la realtà che viviamo oggi?
Talvolta la storia procede per salti e cortocircuiti imprevedibili, facendo rimbalzare situazioni in contesti o epoche affatto diverse.
Gli anni Settanta hanno rappresentano per me il periodo in cui ho messo a fuoco la concezione dell’opera come sistema di trasformazioni morfogenetiche che è il denominatore comune della mia ricerca visuale. Il suo fulcro operativo si basa su procedimenti di ordine combinatorio applicati alle unità elementari che costituiscono l’opera. Le combinatorie che si possono ottenere da questa procedura programmata sono, in effetti, infinite e la loro scelta è in funzione del raggiungimento dell’efficacia ricercata.
Tutto ciò realizzato, in assenza di un calcolatore che non esisteva, o meglio non nell’uso che se ne fa oggi.

Parla delle nuove tecnologie…
In tempo di dibattito ormai quotidiano sull’A.I., che ha allargato e reso di opinione comune la questione dell’Intelligenza artificiale, recentemente il critico Michele Bramante in un’analisi delle mie “Superfici a interferenza luminosa” ha scritto che “se l’intelligenza artificiale arrivasse ad acquisire una comprensione umana riconoscerebbe nelle “Superfici a interferenza luminosa” di Rotta Loria un suo progenitore”.Ecco un caso di “Ritorno al futuro”!…

Martina Lolli

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Martina Lolli

Martina Lolli

Curatrice e giornalista freelance nei settori di arte e musica. Dopo aver frequentato “La Sapienza” e l’Accademia di Brera (comunicazione e didattica per l'arte contemporanea) conclude la formazione con il corso per curatori CAMPO 14 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.…

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