La geometria metafisica di Lucio Saffaro in mostra a Bologna
Laureato in fisica, il pittore triestino morto 25 anni fa coniugò ricerca matematica e pittura, rappresentando spesso figure geometriche e poliedri, che però diventano spazio metafisico e onirico
Quella di Lucio Saffaro (Trieste, 1929 – Bologna, 1998) è una figura complessa: la sua pittura, fin dai primi approcci alla metà del Novecento, prende deliberatamente spunto dalla fisica – materia in cui si laurea – con lavori che mettono in comunicazione i due diversi saperi.
A Palazzo Fava, nel centro di Bologna, la mostra Viaggio verso l’ignoto, curata da Claudio Cerritelli e Gisella Vismara, propone una panoramica sul suo percorso artistico, attraverso un centinaio di opere che vanno dalla fase giovanile alla maturità dell’autore, cercando di indagare ogni aspetto della sua ricerca.
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La mostra di Lucio Saffaro a Bologna
Nelle opere di Saffaro è sempre presente una doppia valenza, come se i suoi prodotti artistici si rifacessero alla sua inclinazione per gli studi matematici: guardando le sue pitture a olio ci si rende conto della permeabilità tra queste due discipline, dove lo spazio pittorico diventano campo di studi spaziali.
Dagli Anni Sessanta in poi, i poliedri diventano soggetto principale dei lavori dell’artista: il poliedro è un chiaro riferimento matematico che, nelle opere di Saffaro, si tramuta e si lega alla dimensione del sogno.
La stella di Origine opus CCXCII è una delle opere che meglio rivela il nuovo immaginario a cui si rifà l’artista: il poliedro a stella – soggetto del dipinto – è posto in uno spazio metafisico e pare irrequieto, turbato; lo studio geometrico della forma pare abbandonato, sostituita dalla visione onirica che accompagna tutte la serie di spermentazioni di questo periodo.
Lucio Saffaro indaga il tempo e lo spazio; nella sua pittura questi elementi diventano portatori di un immaginario di sentimenti ed emozioni, e le forme si fanno empatiche.
Chiara Battaglino
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