Riscoprire la pittura di Giacomo Ceruti: la mostra a Brescia

Capitale italiana della Cultura insieme a Bergamo nel 2023, Brescia ha messo a punto un fittissimo calendario di mostre. Fra queste c’è l’omaggio a Giacomo Ceruti, pittore del Settecento in scena al Museo di Santa Giulia

La montagna negli scatti di Sella, Adams, Chambi e Hütte, la fotografia contemporanea di David LaChapelle, due ricognizioni storico-artistiche sul passato della città: il programma della Fondazione Brescia Musei per il 2023, che vede la Leonessa capitale della cultura insieme a Bergamo, è diversificato. Tra tutte spicca l’esposizione su Giacomo Ceruti (Milano, 1698-1767), curata al Museo di Santa Giulia da Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti. Ecco ragioni, caratteristiche e propositi della mostra nelle parole dei curatori.

Giacomo Ceruti, Autoritratto come pellegrino, 1732-34, Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme

Giacomo Ceruti, Autoritratto come pellegrino, 1732-34, Museo Villa Bassi Rathgeb, Abano Terme

Come è cambiata la percezione dell’opera di Ceruti nei secoli? In che modo la mostra affronta questo tema?
Alessandro Morandotti: Giacomo Ceruti è oggi riconosciuto come uno dei protagonisti della storia dell’arte del Settecento europeo in virtù della sua produzione di ritratti, nature morte e soprattutto di scene di vita popolare. Queste specializzazioni, a causa della gerarchia dei generi artistici di eredità umanistica, non gli hanno permesso di entrare nel canone dei pittori più noti della sua epoca. Nonostante il suo grande successo in vita, Ceruti venne per questo dimenticato a lungo dopo la sua morte fino alla riscoperta nel corso del Novecento. Ad avvio della mostra, abbiamo seguito questa rinascita, restituendo il ruolo di Roberto Longhi; il grande studioso ha legato al nome di Ceruti opere finite nel catalogo di altri artisti, radicandone le scelte entro la tradizione della pittura lombarda della realtà.

Quali aspetti meno conosciuti del Ceruti emergono dal percorso espositivo?
Alessandro Morandotti: La tradizione degli studi su Ceruti è ormai ben consolidata, a partire dalla monografia in gran parte ancora attuale di Mina Gregori (1982). Abbiamo quindi innanzitutto radicato le scene di vita popolare di Ceruti in una rete di fatti precedenti e coevi molto serrata e credo molto nuova per il pubblico oltre che per gli studi; al contempo ampio spazio è destinato alla produzione del Ceruti più internazionale della piena maturità, anni in cui il pittore si confronta con la pittura veneta e francese a lui coeva restituendo nel suo caratteristico “dialetto” lombardo questi incontri. Non è un tradimento della realtà, ma solo un’apertura di orizzonti di uno dei più grandi sperimentatori del Settecento italiano.

L’intreccio di biografia e opera è particolarmente fitto nel caso di un autore quale Ceruti. Come si dipana questo filo lungo la mostra?
Francesco Frangi: Nella vita di Ceruti ci sono due passaggi cruciali. Il primo è il precoce trasferimento da Milano a Brescia, all’inizio degli Anni Venti del Settecento. Quando giunge a Brescia il pittore si specializza subito nel ritratto e nelle scene pauperistiche, mettendo a punto un linguaggio fortemente orientato in senso naturalistico che ottiene il gradimento della committenza locale. Tutta la prima parte della mostra ripercorre questa stagione, alla quale fa seguito quella che si apre con il secondo episodio decisivo della biografia di Ceruti: il soggiorno in Veneto tra il 1736 e il 1739. A partire da quell’esperienza la pittura cerutiana si apre verso nuovi orizzonti. Le scene di genere diventano più rasserenate, a volte ironiche, i ritratti più scenografici, la tavolozza si schiarisce. E all’interno della mostra, di conseguenza, il clima muta vistosamente.

Giacomo Ceruti, Ritratto di violoncellista, 1745-50, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Giacomo Ceruti, Ritratto di violoncellista, 1745-50, Kunsthistorisches Museum, Vienna

LA PITTURA DI GIACOMO CERUTI

Come si inserisce l’opera di Ceruti nel lungo e rivoluzionario processo che porta dall’arte antica agli stravolgimenti dell’Ottocento, fino al cambio di paradigma che avverrà a fine Ottocento/inizio Novecento? Il suo pauperismo è anticipatore di mutamenti a venire?
Francesco Frangi: Ceruti rimane un uomo del suo tempo. Non bisogna guardarlo come un realista ottocentesco o moderno. Le sue tele non sono fotogrammi della realtà: i soggetti che mette in scena rispecchiano una tradizione ben consolidata, nata più di un secolo prima di lui. Le ragioni della grandezza dell’artista sono altre e risiedono nella capacità di rinnovare per così dire “dall’interno” quel repertorio, infondendo nelle opere una verità e un sentimento di empatia nei confronti dei ceti umili che non hanno precedenti. È per questo che chi osserva oggi i suoi dipinti giovanili ha la sensazione che essi restituiscano, come delle maestose istantanee, le concrete situazioni di vita degli emarginati. Non è così, ma in fondo la magia di Ceruti sta anche nella capacità di creare costantemente questa illusione.

Il Ciclo di Padernello è annunciato come il clou dell’esposizione. Quali caratteristiche gli valgono questa posizione di importanza?
Roberta D’Adda: Sotto questo nome convenzionale si raccolgono sedici grandi tele con figure di poveri intenti in semplici attività quotidiane: furono scoperte nel 1931 in un castello della Bassa bresciana, a Padernello, e da allora hanno riscosso costante attenzione. Riunite in mostra a Brescia nel 1935 e poi, quasi tutte, a Milano nel 1953 per la rassegna longhiana dei Pittori della Realtà, non si vedevano insieme da allora. A Brescia ne avremo quattordici: un’occasione unica per godere di una visione d’insieme su questo nucleo, frutto forse di un’unica e ancora sconosciuta commissione e che si presenta come una delle imprese più significative del Settecento europeo. Ritroviamo nelle tele di Ceruti non solo la sostanza pittorica della polvere e degli stracci ma, soprattutto, la dignità degli umili.

Quali sono le altre opere da non perdere in mostra?
Roberta D’Adda: Se la Pinacoteca Tosio Martinengo è, per numero di opere, il museo di Giacomo Ceruti, i dipinti di questo artista sono per lo più conservati tutt’oggi in collezioni private: la mostra offrirà l’occasione quindi di vedere – a fianco di prestiti provenienti dall’Italia ma anche, per esempio, da Vienna e Goteborg – capolavori nella maggior parte dei casi inaccessibili al pubblico, posti in dialogo con Ribera, Fra Galgario, Rigaud e Piazzetta. Saranno presentati alcuni inediti sia di Ceruti sia di artisti che ebbero un approccio simile al suo nell’illustrare le scene di vita popolare. Tra questi ultimi, desterà grande curiosità il misterioso pittore noto come Maestro della tela jeans: un artista forse di origine nordica che sul finire del Seicento, in Lombardia, aggiorna la tradizione del naturalismo caravaggesco in modo affatto poetico e personale.

Giacomo Ceruti, Installation view at Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia. Photo A. di Corbetta

Giacomo Ceruti, installation view at Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia. Photo A. di Corbetta

INTERVISTA ALLA PRESIDENTE E AL DIRETTORE DELLA FONDAZIONE BRESCIA MUSEI

Quale ricaduta positiva si aspetta dopo l’anno di Brescia/Bergamo Capitali della Cultura? Non tanto sul piano degli introiti o del turismo, ma in particolare nell’ambito dei fondi e delle possibilità per la cultura e i musei di Brescia.
Francesca Bazoli: Sono certa che la grande attenzione mediatica e la frequentazione dei pubblici, incentivata dal grande evento, porterà i musei bresciani a essere riconosciuti come luoghi di grande qualità per la conservazione e la valorizzazione e, al contempo, veri e propri cantieri culturali di progettazione e produzione artistica. Da un lato i grandi raggiungimenti museali dell’ultimo triennio, dall’altro una modalità di approccio alla cultura che ibrida costantemente linguaggi antichi e archeologici con il contemporaneo.

Qual è l’aspetto meno conosciuto della cultura e del patrimonio museale di Brescia che verrà messo in luce durante il 2023?
Stefano Karadjov: Certamente la straordinaria vastità del nostro patrimonio museale: dalla grande archeologia romana e longobarda riconosciuta sito Unesco alla straordinaria stagione della cultura lombarda, che trova nella Pinacoteca Tosio Martinengo la sua culla ideale. Infine i due straordinari musei del Castello dedicati uno alla memoria del Risorgimento, l’altro alla produzione bresciana di armi e armature dal 1400 al 1800.

Qual è la mostra o iniziativa che le è più cara e che è impaziente di vedere realizzata?
Possiamo rispondere all’unisono. Il grande palinsesto dedicato a Giacomo Ceruti, con la contaminazione contemporanea di David LaChapelle, corona la strategia di valorizzazione della Pinacoteca quale casa museale più importante per questo grandioso pittore del Settecento.

Stefano Castelli

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #32

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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