Il mare, Cuba e l’apocalisse. La mostra di Yoan Capote a Roma

Richiama alla mente i naufragi di chi tenta di fuggire da condizioni disumane e le cupe atmosfere del presente l’arte di Yoan Capote. L’artista cubano è in mostra negli spazi romani della Galleria Continua

Il mare a Cuba è paradiso e prigione” dice Yoan Capote (Pinar del Río, 1977) nella sede romana di Galleria Continua e le parole sembrano navigare, provare a prendere il largo sulle sue marine dove onde e increspature sono formate da illusionistiche file e selve di ami da pesca di diverse dimensioni, in rilievo sulla pittura a olio. Sono i lavori della serie Isla, la più nota dell’artista cubano, esposti, insieme ad altri più recenti, in Elegy, la prima personale di Capote a Roma. A una certa distanza l’effetto è vellutato, quasi compiacente; quando ci si avvicina si prova un brivido di fronte allo spessore di uncini che afferrano lo sguardo. Pronti a prendere anche il corpo di chi si accosta troppo.

Yoan Capote, Isla (lacrimosa), 2022, olio, chiodi e amu su lino su pannello di legno, 120 x 210 cm. Courtesy the artist e GALLERIA CONTINUA. Photo Giorgio Benni

Yoan Capote, Isla (lacrimosa), 2022, olio, chiodi e amu su lino su pannello di legno, 120 x 210 cm. Courtesy the artist e GALLERIA CONTINUA. Photo Giorgio Benni

LE OPERE DI YOAN CAPOTE A ROMA

Capote è nato e cresciuto vicino alle grandi piantagioni di tabacco, e ricorda la prima volta che vide l’oceano, con meraviglia infantile. Poi si rese conto che nell’isola l’acqua è anche recinto e illusione, sorveglianza, via di fuga. È cresciuto durante la crisi economica, il blocco, l’affanno del regime di Fidel Castro. Ha visto la migrazione pericolosa, i “balseros” che partivano (e partono) in zattera verso la Florida. In molti casi senza arrivare mai. L’elegia del titolo è per i morti così come per i sopravvissuti, quelli che ce l’hanno fatta ad attraversare il mare insidioso. Le marine metalliche di Capote non respingono. Sono ambivalenti, affascinanti e pericolose. Anche quando hanno un afflato religioso, come nella serie Requiem, in cui l’artista cubano impiega suggestioni del suo primo viaggio in Italia: in una delle opere in mostra gli ami scuri, il sangue addensato fanno risaltare la sezione in foglia d’oro che rimanda alle pale d’altare trecentesche. Ma l’opera richiama alla mente soprattutto i naufragi dei barconi sovraccarichi di migranti nel Mediterraneo. Al centro di una delle due sale, l’installazione Deriva instilla un capogiro: un timone di legno poggia su due blocchi di marmo a diversa altezza, a ricordare una barca sbandata; ma pare anche abbattersi al suolo come una sorta di mannaia da esecuzione. Nell’altra si rischia d’inciampare in una falce che non è quella delle bandiere comuniste, operosa e promettente e magari ingannevole, ma lo strumento a manico lungo della vecchia signora, a cavallo su uno dei destrieri dell’Apocalisse: s’intitola Presagio.

Yoan Capote, Requiem (exvoto), 2022, olio, foglia oro 24k, chiodi e ami su pannello di compensato e tela, 81 x 160 cm. Courtesy the artist e GALLERIA CONTINUA. Photo Giorgio Benni

Yoan Capote, Requiem (exvoto), 2022, olio, foglia oro 24k, chiodi e ami su pannello di compensato e tela, 81 x 160 cm. Courtesy the artist e GALLERIA CONTINUA. Photo Giorgio Benni

YOAN CAPOTE ED ERNEST HEMINGWAY

Alle pareti ci sono alcune delle ultime opere di Capote, dalla serie Purificazione, materiche e grafiche allo stesso tempo: tracce di metallo preso da filo spinato e manette, lavorato e immerso nel gesso, ancora una volta a disegnare marine, questa volta candide e iridescenti. Nel gesso s’intravede qualche testina di chiodo, tanto per non dimenticare la durezza.
L’effetto non è angoscioso, ha la bellezza cangiante dei mari del mondo, la durezza della vita dei pescatori (gli ami serviranno a ripescare le anime dei migranti, dei fuggitivi?), le inquietudini delle isole-prigioni e degli orizzonti tentatori. Viene in mente infine Santiago, l’eroe hemingwayano de Il vecchio e il mare, un pescatore cubano appunto: con i suoi ami, la sua fame, le sue illusioni. Hemingway amava Cuba con le sue contraddizioni. Capote le ama e le rappresenta con abilità e forza. Le rende universali. Capote conosce i romanzi di Hemingway, come molti cubani. Gli ami del suo mare potranno intimidire, pescare illusioni. Ma non scoraggiano. Come per il grande marlin agganciato da Santiago e divorato dagli squali prima che la barca tocchi terra. Ci sono vincitori che non prendono niente. Ma il vecchio pescatore alla fine della storia sognava i leoni. Se fanno sognare qualcosa, gli inconsueti e uncinanti paesaggi marini di Capote, con tutte le insidie e le durezze, fanno sognare la libertà.

Fabio Sindici

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Fabio Sindici

Fabio Sindici

Fabio Sindici è giornalista e autore televisivo. Ha scritto reportage e inchieste di approfondimento per quotidiani e riviste nazionali, come La Stampa, L’Espresso, Vanity Fair. È stato co-autore di programmi di viaggio e cultura per RAI Uno. Ha realizzato una…

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