Il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è troppo grande?

Occupato fino a novembre dal lavoro di Gian Maria Tosatti, il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è uno spazio gigantesco. Ridurre le sue dimensioni aiuterebbe a coinvolgere artisti che non fanno solo installazioni ambientali?

Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) era più intrigante quando era horror, quando si infilava nelle chiese desolate e diroccate evocando metafisiche paure. Il suo lavoro risultava furbo anche così, ma almeno inquietava.
Alla Biennale la butta sul politico in senso stretto e fa cilecca, non rapisce, non c’è nemmeno quell’evocatività. Crea un percorso tormentato agganciandosi a Pasolini, ma gli si addicono più Lynch o Argento. Porta il visitatore nei capannoni e nell’estetica industrial, ma non è il suo, ha chiaramente fiutato l’aria che tira, ma non è la sua. Così, si limita a inscenare un’immersività piena di cliché, ripiegando sulla giustapposizione. Si passa dalla sala macchine al laboratorio tessile, si prosegue con l’officina meccanica col motore appeso, per finire in un traghettone a bordo porto. Sembra di sentire un artista dire a se stesso ‘non sono chiese che ne basta una, bisogna aggiungere’.
Ecco, a Tosatti si addicono più le chiese. Guarda caso il solo brivido che regala il Padiglione a lui affidato è l’impronta lasciata da un crocefisso su un letto non si sa bene di chi, tra la polvere e la tristezza. Ma è solo un lampo, compare nel mezzo di una passeggiata noiosa. No, non ha funzionato il suo intervento. Troppo masticato persino se interpretato come pistolotto verista, mai coinvolgente, mai avvincente. Alla fine si salva poco o nulla, al limite il titolo fuorviante da album prog-rock Anni Settanta.

biennale arte 2022 latte dei sogni padiglione italia ph. irene fanizza

Biennale Arte 2022, Latte dei sogni, Padiglione Italia. Ph. Irene Fanizza

LE DIMENSIONI DEL PADIGLIONE ITALIA

A questo punto bisogna farsi una domanda: a chi giova un padiglione nazionale così grande, sterminato, e per giunta bipartito, se l’intento – com’è giusto che sia, almeno in linea di massima – è ospitare un artista alla volta? Si pensi solo a questo: ora che in tanti hanno ripreso a dipingere, che faremmo se si palesasse un giovane Vermeer – uno cioè che ama i piccoli e piccolissimi formati? Non potremmo invitarlo per questo?
Forse sono considerazioni del momento, dovute al fatto che il gigantismo appare out ultimamente, ma bisogna pur guardarlo il presente. Molti ricorderanno quando il Padiglione Italia sparì del tutto. Per carità, God save il Padiglione Italia!, ma ora la criticità è diventata quella opposta: ce n’è troppo di spazio ed è pure molto difficile, perché doppio. Urge porsi il problema. O anche in questa vicenda, come accade spesso in Italia, a trionfare rischia di essere la schizofrenia, il passare cioè da un eccesso all’altro scriteriatamente.
Un’idea? Dimezziamolo questo spazio gigantesco e bipartito. Non è una provocazione. L’area sarebbe più funzionale, e in fondo la metratura equivalente a quella degli altri padiglioni, compresi quelli di Paesi più importanti del nostro. Se ne trarrebbe un enorme beneficio. Uno su tutti: non saremmo più obbligati, o comunque indotti, a invitare solo artisti che fanno installazioni ambientali.
Sarebbe una scelta sensata e anche lungimirante, visto che non tutti gli artisti si esprimono così, oggi soprattutto. Less is more, come si dice.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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