Officina Malanotte. Arte contemporanea in un’ex officina trevigiana

Promosso dalle cantine Bonotto delle Tezze, con la curatela di Daniele Capra, il progetto Officina Malanotte ha portato cinque artisti in residenza all’interno di un’ex officina meccanica del trevigiano, dove il tempo sembra essersi fermato. Ne è nata una mostra che riattiva uno spazio singolare

Nella campagna trevigiana, in vista delle colline patrimonio dell’Unesco, Tezze di Piave è un paese di 1500 anime, origini antiche – come testimonia il nucleo ancora ben conservato di Borgo Malanotte – e una storia segnata più di recente dalla posizione strategica rivestita durante la Prima Guerra Mondiale, sulla sponda sinistra del fiume diventato simbolo di sanguinose battaglie e canti di liberazione. In quei terribili anni, anche la tenuta della famiglia Bonotto Delle Tezze fu travolta dalle truppe nemiche: la villa occupata dai comandi, le cantine e le stalle requisite. Oggi, una bottiglia intitolata al ’15-’18 (magnum in edizione limitata) ricorda quel periodo di devastazione, fame e paura che sconvolse la piccola comunità rurale.
Il vino è un raboso del Piave, vitigno autoctono del territorio, che la famiglia custodisce e coltiva da oltre seicento anni (ma oggi si produce anche Prosecco da uve glera): entrare nel cortivo che introduce al quartier generale delle attività, significa ripercorrere una storia che affonda le radici nel XV secolo. Tutt’intorno a questa corte tipica della campagna trevigiana si aprono gli ambienti di lavoro che nel tempo hanno continuato a scandire la vita quotidiana, la cantina, la vecchia stalla, il granaio (un tempo utilizzato per l’allevamento del baco da seta, oggi per l’appassimento delle uve), il pozzo, la colombaia, la casa padronale. Alle pareti, foto d’epoca testimoniano l’arrivo dei carri con l’uva pronta per la pigiatura, nel periodo della vendemmia.

Officina Malanotte, 2022. Prima della ristrutturazione, photo Nico Covre

Officina Malanotte, 2022. Prima della ristrutturazione, photo Nico Covre

IL PROGETTO OFFICINA MALANOTTE

C’è però molta voglia di definirsi nel presente, senza nostalgia per il passato (per accorgersene è sufficiente fare un giro in cantina, nello spazio progettato dall’architetto Toni Follina, discepolo di Carlo Scarpa, accanto all’edificio storico): Antonio “Toni” Bonotto e sua moglie Vittoria, con i due figli già coinvolti nel lavoro in vigna e cantina, sono titolari consapevoli di quanto un’attività tanto radicata nella storia del luogo non possa prescindere dalla tutela della comunità locale, della sua memoria e della sua identità. Ecco perché, per circoscrivere la nascita del progetto Officina Malanotte, non basta far riferimento alle sempre più frequente connessione tra vino e arte, elementi qui presenti entrambi ma connessi da una superiore necessità di favorire la vita di comunità. Officina Malanotte, per dirla con le parole di chi l’ha concepita, vuole essere una forma di restituzione culturale al luogo in cui l’azienda dei Bonotto ha avuto la possibilità di crescere. Fulcro dell’operazione è l’ex officina meccanica acquisita qualche anno fa dall’azienda vinicola, non distante dalla tenuta; motore di rigenerazione è l’arte contemporanea, che attiva lo spazio attraverso la residenza artistica curata da Daniele Capra, con il coinvolgimento di Thomas Braida, Beatrice Meoni, Nazzarena Poli Maramotti, Chris Rocchegiani e Alessandro Roma. Tra maggio e giugno, i cinque artisti italiani hanno trascorso tre settimane a Tezze di Piave, vivendo a contatto con la famiglia Bonotto e con la comunità locale, ma soprattutto respirando l’atmosfera di uno spazio rimasto fermo nel tempo.

Officina Malanotte, Beatrice Meoni in magazzino, photo Nico Covre

Officina Malanotte, Beatrice Meoni in magazzino, photo Nico Covre

LA STORIA DELL’ITALIA INDUSTRIALE

All’origine del progetto c’è infatti la singolarità dell’ex edificio industriale, fino al 2005 sede di un’azienda produttrice di trattori: la struttura del capannone è testimone degli anni del boom economico, all’interno arredi, suppellettili, ingranaggi e pezzi di ricambio meccanici, oltre a un’infinità di dettagli (dal crocifisso affisso alla parete ai mobili in formica ai codici dei pezzi trascritti minuziosamente a penna sugli scaffali del magazzino) abitano lo spazio come reperti di un’era industriale che ha fatto la storia del Veneto (e di molta parte della Penisola: vedi il Padiglione Italia di Gian Maria Tosatti a Venezia) nel secondo Novecento. Quando si è trattato di ristrutturare lo spazio, si è scelto di lasciare tutto com’era, dagli uffici dell’amministrazione al cuore del capannone, che ancora profuma di olio meccanico e porta i segni di una produzione che si è protratta, inalterata, per decenni, fino al momento in cui l’azienda, con i sui anacronismi, si è ritrovata a essere fuori mercato. Questa temperie ha ispirato gli artisti in residenza, ciascuno in modo diverso.

Officina Malanotte, 2022. Chris Torregiani, photo Nico Covre

Officina Malanotte, 2022. Chris Torregiani, photo Nico Covre

GLI ARTISTI DI OFFICINA MALANOTTE

Beatrice Meoni (Firenze, 1960) ha trascorso molto tempo nel magazzino dei ricambi meccanici, immaginando bulloni, fusibili e ingranaggi come fossero reperti archeologici, parte di un archivio da cui attingere per evocare un mondo in cui la meccanica diventa corpo. In parallelo, l’artista si è mossa verso la comprensione di un mondo ad appannaggio maschile, appropriandosi dello spazio, come dimostrano gli autoritratti sui trattori. Ma i pezzi meccanici hanno influenzato anche l’opera di Nazzarena Poli Maramotti (Montecchio Emilia, 1987), ispirando paesaggi immaginari, contraddistinti dalle pennellate dense e fluide al tempo stesso. Mentre Chris Rocchegiani (Jesi, 1977), colpita da una grandinata che durante la residenza ha danneggiato parte del raccolto, ha immaginato una nuova forma di sacralità, ispirata però a rituali contadini (nella comunità si recita ancora il rosario per scongiurare eventi metereologici avversi). Caratterizzato dal colore l’intervento di Alessandro Roma (Milano, 1977) che si esprime attraverso la pittura (su tela, carta, tessuto e muro), la ceramica e il libro d’artista, qui a partire da un vaso posto all’ingresso degli uffici dell’azienda – allora come oggi – per instaurare un dialogo con la natura e il mondo vegetale. Thomas Braida (Gorizia, 1982), invece, sembra aver approcciato l’esperienza con una certa frenesia figurativa; risultato sono la serie di dipinti dedicati ai trattori e le nature morte immortalate a partire da composizioni di ingranaggi e pezzi trovati in officina. La mostra è visitabile su appuntamento fino al 10 luglio, meglio se in combinata con il tour guidato della cantina.
Intanto la famiglia Bonotto già lavora alla prossima iniziativa che possa consolidare lo spirito di comunità: “Si chiamerà Novecento”, spiega il patron dell’azienda “e coinvolge tutti coloro che hanno fotografie, documenti e testimonianze da condividere sulla storia di Tezze di Piave. Perché piccoli paesi di provincia come il nostro possano sopravvivere, la comunità ha bisogno di riconoscersi nel suo passato, valorizzarlo e trarne spunto per progetti che guardino al futuro”.

Livia Montagnoli

https://www.bonottodelletezze.it/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati