Il project space Dimora Artica di Milano chiude. Intervista ad Andrea Lacarpia

Punto di riferimento tra gli spazi no profit dedicati ai giovani artisti e alla ricerca emergente, lo spazio attivo a Milano dal 2013 decide di mettere un punto definitivo alla sua storia. In questa intervista, Andrea Lacarpia ci spiega le motivazioni e ci racconta i momenti salienti di questi anni

A partire dalla loro fioritura nelle città e nelle periferie, i project space rappresentano un importante tassello per il sistema dell’arte, laboratori creativi e sperimentali nel quale gli artisti si cimentano prima di intraprendere un percorso consolidato in istituzioni e gallerie. Tra i progetti che hanno composto il panorama dell’arte emergente milanese, si è distinto per il suo ruolo Dimora Artica di Andrea Lacarpia, nato nel 2013 e proseguito fino a oggi, quando il suo fondatore ha deciso di considerare il suo tempo concluso e proseguire la propria attività con la galleria inaugurata lo scorso settembre.  

Il progetto che hai fondato nove anni fa è giunto ai titoli di coda. Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a prendere questa decisione?
Non ho preso la decisione a cuor leggero, dato negli ultimi nove anni ho costantemente investito le mie energie su questo progetto, in cui ho trovato piena e libera espressione da diversi punti di vista. Ultimamente però questo rispecchiamento tra l’evoluzione della mia persona e di Dimora Artica si stava esaurendo, forse per una questione generazionale, quindi ho avviato la Candy Snake Gallery in un altro spazio. 

L'esterno della seconda sede di Dimora Artica durante un opening

L’esterno della seconda sede di Dimora Artica durante un opening

Hai deciso insomma di passare ad un progetto di galleria commerciale…
Sì, è la cosa che sento più in linea con i miei attuali interessi. 

E hai pensato subito di chiudere lo spazio?
Inizialmente l’idea non era quella di chiudere Dimora Artica, ma di passare la direzione artistica a Deborah Maggiolo, giovane curatrice dal grande talento e preparazione che mi ha aiutato negli ultimi anni. Purtroppo, il sopraggiungere di altri impegni e l’imminente termine del contratto di affitto ci ha fatto propendere per la chiusura definitiva.

La prima mostra non si scorda mai… cosa avevi in testa quando hai deciso di fondare Dimora Artica?
L’idea era legata a dei miei interessi dell’epoca, alla filosofia della Tradizione descritta nei testi di autori come René Guénon. Volevo sviluppare un progetto curatoriale che non si esaurisse in una mostra, ma che proseguisse nella forma dello spazio indipendente, in cui investigare un possibile rapporto tra sperimentazione artistica e archetipi immutabili, dando vita ad una sorta di narrazione epica. Per realizzarla, coinvolsi Diego Cinquegrana e Luigi Massari e dai nostri dialoghi nacquero le prime idee su come impostare il progetto.  

 Andrea Martinucci Glory Black Hole, 2018, Dimora Artica prima sede

Andrea Martinucci Glory Black Hole, 2018, Dimora Artica prima sede

E poi?
Successivamente i miei interessi sono mutati e il progetto si è gradualmente slegato dalla struttura iniziale, andando ad approfondire diversi temi ma conservando sempre un’atmosfera tra l’epico e l’esoterico, in modo non vincolante e con un approccio più leggero. Mi sono più volte confrontato con degli artisti per far evolvere Dimora Artica come progetto curatoriale: Massari mi ha affiancato nella direzione artistica nei primi anni, Nicola Gobbetto in una fase intermedia e Francesco Pacelli nel periodo di trasloco dal piccolo e nascosto spazio di via Boiardo al più ampio e su strada spazio di via Dolomiti. Ognuno di loro ha influenzato le fasi di sviluppo di Dimora Artica attraverso le sue metamorfosi.

Qual è il profilo-tipo degli artisti con cui hai collaborato?
È difficile da tratteggiare, sicuramente ho sempre preferito gli artisti che si mostrano generosi nei confronti del mondo, con un buon rapporto con la creazione dell’opera come oggetto fisico. Non ho mai compreso appieno gli artisti troppo concettuali o poco produttivi, che solitamente mi annoiano. Ho collaborato con gli italiani della mia generazione o più adulti, come per esempio Valentina D’Amaro, Nicola Gobbetto, Daniele Carpi, Gioia Di Girolamo, Marcello Tedesco, Laura Santamaria e Giovanni De Francesco e, soprattutto negli ultimi anni, con diversi più giovani, spesso alle prime mostre, come Flavia Albu, Matteo Gatti, Lorenzo D’Alba, Pietro Di Corrado, Tania Fiaccadori, Andrea Martinucci e, ultimi ad esporre, Viola Morini e Giacomo Giannantonio. Con alcuni di essi la collaborazione prosegue nella mia nuova galleria.

Cosa è cambiato ora che hai aperto una galleria? Oltre alle ovvie dinamiche economiche…
È cambiato il modo di pensare alle mostre, meno legato ad un rapporto installativo site specific con lo spazio e più concentrato sulle singole opere. Se prima l’intento era approfondire un certo argomento o creare un ambiente sempre diverso con un approccio quasi scenografico, ora è far conoscere la ricerca dell’artista e valorizzarne il lavoro, cercando di essere meno dispersivi possibile, per far conoscere i giovani artisti ai collezionisti e a un pubblico sempre più ampio. Anche per questo sto privilegiando le mostre collettive con temi molto generici, anche se non escludo per il futuro mostre personali con progetti pensati apposta per lo spazio della galleria. 

Giacomo Giannantonio e Viola Morini, 2021, Dimora Artica seconda sede

Giacomo Giannantonio e Viola Morini, 2021, Dimora Artica seconda sede

Cosa ti ha dato questa esperienza? Dicci qualche insegnamento che hai appreso a livello curatoriale e/o artistico.
Ora che il progetto si è concluso ne vedo maggiormente la portata umana. Attraverso Dimora Artica mi sono ritagliato un posto nel mondo dell’arte coerente con le mie aspirazioni, ho conosciuto persone con le quali ho condiviso sogni, stretto amicizie e avviato collaborazioni professionali. A volte sono anche stato deluso da artisti che hanno solo usato lo spazio come una delle tante vetrine. 

Dicci di più.
Dimora Artica è stata il luogo di incontro di tante persone, da qui sono nate amicizie e progetti che si sono sviluppati altrove. Da tutto ciò ho appreso quanto sia importante mettersi in gioco e non fermarsi ai primi ostacoli, ma essere tenaci e costanti perché i risultati non arrivano sempre nell’immediato. Infine, ho compreso quanto sia importante la comunità che si forma intorno ad un progetto curatoriale e artistico, senza la quale l’arte sarebbe slegata dalla vita. 

Matteo Gatti, mutante il corpo mio s'abissa, 2021, Dimora Artica seconda sede

Matteo Gatti, mutante il corpo mio s’abissa, 2021, Dimora Artica seconda sede

Un momento memorabile?
Tra i momenti memorabili ci sono le mostre fuori porta che assumevano la forma della gita collettiva. Per esempio, nell’aprile 2014 ho organizzato una collettiva ospitata in una cascina nella campagna emiliana, che univa gli artisti del primo anno di programmazione di Dimora Artica. Eravamo in pochissimi ma è stato il pretesto per stare piacevolmente insieme. 

Com’è cambiato negli anni il panorama degli spazi no profit a Milano? La pandemia ha influito sullo scenario della città?
C’è stato un periodo di particolare fioritura di project space dalla programmazione continuativa, ognuno con proprie prerogative che rendevano molto variegata la proposta. Era bello far parte di un contesto così attivo. In particolare ho legato particolarmente con i componenti di Current e di Mars, ma apprezzavo molto anche Tile e Cabinet. Ognuno di questi progetti ha contribuito alla crescita professionale di tanti giovani artisti e curatori. In quel periodo è nata anche Edicola Radetzky, progetto gestito da artisti al quale ho collaborato nella fase iniziale, e il Colorificio. Oggi gli spazi attivi mi sembrano cambiati e di minor numero, ma credo siano normali le diverse fasi di cambiamento in un settore molto legato all’iniziativa giovanile. Non credo che c’entri la pandemia, ma piuttosto l’approccio delle nuove generazioni, che mi sembrano meno inclini a strutturare progetti stabili.

Cosa consiglieresti a chi decide di intraprendere una strada analoga, oggi?
Consiglierei di lanciarsi nella nuova avventura senza focalizzarsi sui problemi di sostenibilità. Se il progetto è davvero sentito e l’approccio è positivo, le soluzioni per realizzarlo verranno da sé.

– Giulia Ronchi 

https://www.candysnakegallery.com/  

 

 

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

Scopri di più