Morto a Milano l’artista Umberto Bignardi, maestro degli anni Sessanta

Fu tra i protagonisti di una stagione straordinaria e di mostre epiche come “Fuoco Immagine Acqua Terra” nel 1966 a L’Attico di Fabio Sargentini. Dagli anni Settanta ha lavorato proseguendo l’impegno nella sperimentazione. Il ricordo di Lorenzo Madaro

Quando gli si domandava di Roma, degli anni Sessanta e di tutta quella energia che aveva vissuto, da protagonista della sperimentazione visuale a cavallo tra questo e il decennio successivo, sorrideva, quasi schermandosi per un tempo che gli sembrava lontanissimo. Ma probabilmente anche con un po’ di amarezza, per essere stato un po’ trascurato, salvo in alcuni casi, da certe ricognizioni su quel periodo fervido (la “Scuola di piazza del Popolo” è mai esistita?). Nella sua casa-studio di Milano, dove viveva con la sua compagna e testimone di sempre, Silvia, che si è occupata di lui fino all’ultimo istante insieme alle loro due figlie, è morto il 22 gennaio Umberto Bignardi, tra gli artisti più sinceri, sperimentali e intellettualmente onesti della storia dell’arte italiana del secondo Novecento, a torto spesso dimenticato, nonostante il suo contributo fondamentale sul fronte del cinema espanso ma anche della pittura. Il parquet scricchiolava, la luce filtrava dalle finestre e un grande dipinto informale degli esordi capeggiava nel soggiorno. A parete qualche foto, libri ovunque e ogni tanto sbucava qualche catalogo di mostre ormai epiche degli anni Sessanta, in cui Umberto c’era sempre, accompagnato dalla scrittura di critici sperimentali e attenti. Poi c’era lo studio, pieno zeppo di carte e opere. E poi appunti, documenti, fotografie.

Umberto Bignardi, 1962-63. Archivio Bignardi

Umberto Bignardi, 1962-63. Archivio Bignardi

UMBERTO BIGNARDI, “GUERRIGLIERO SISTEMATICO”

Fu lì che oltre un paio d’anni fa, mentre preparavamo la mostra dedicata ai suoi anni Sessanta in Galleria Bianconi, proprio a Milano, che Umberto tirò fuori una lettera di Germano Celant del 4 dicembre 1967: “da parte mia come al solito nellarte sino agli occhi. In programma molte cose tra cui questa mostra, di cui ti invio il testo (se sarà pubblicato non so, vorrei però) alla Bertesca, a cui gradirei volessi inviare un pezzo anche piccolo, insieme a Kounellis. Vi considero dei guerriglieri sistematici, per cui lassenza mi preoccupa, non starai per caso col nemico?”. Il clima caldo, un attimo prima dell’avvio dell’Arte Povera, obbliga già l’utilizzo della metafora della guerriglia. D’altronde Umberto è stato un militante convinto, sempre proiettato verso la propria indagine, anche quando dagli anni Settanta, lontano da Roma e dalle gallerie, proseguiva imperterrito il suo lavoro di ricerca affrancandosi consapevolmente dal sistema dell’arte, risparendosi a Milano, senza però mai perdere lo stupore verso gli altri, verso l’arte.

All'Attico Prismobile (Tacchi Vicino A Mio Padre), 1966. Archivio Bignardi

All’Attico Prismobile (Tacchi Vicino A Mio Padre), 1966. Archivio Bignardi

VITA E ARTE DI UMBERTO BIGNARDI

Bignardi era nato nel 1935 a Bologna, dove ha frequentato il liceo artistico e dove sin da giovanissimo ha rivelato un certo interesse per le riviste americane e in generale per le immagini della contemporaneità, vero e proprio archivio di visioni che torneranno utili nel suo percorso d’artista.  Ventenne, si trasferisce a Roma per iscriversi al corso di scenografia in Accademia di Belle Arti, dove ha la conferma delle sue capacità in ambito disegnativo e pittorico. Qui incontra – frequentando le lezioni di Toti Scialoja, che diventerà suo maestro – Pino Pascali, Jannis Kounellis e altri nomi che saranno poi protagonisti di quella straordinaria stagione dell’arte in quella città e in Italia dal decennio seguente. Sono anni di intensi studi, di curiosità verso le esperienze aggiornate dell’arte, come rivela anche la trasferta parigina del 1956 e la conoscenza approfondita di Twombly (a partire dal 1957) e del suo lavoro, che insieme a una sua personale visione dell’espressionismo astratto di Pollock lo spingerà verso esiti pittorici e grafici gestuali. Progressivamente, infatti, Bignardi tralascia la pittura di radice informale e inizia ad interessarsi all’immagine, grazie a un lavoro complesso di studio sulle tracce della comunicazione pubblicitaria e a un’idea di assemblaggio di sollecitazioni visuali mediata proprio dalle opere dell’americano, che lo porterà a studiare poi le tavole di Leonardo da Vinci, i disegni di Galileo Galilei e a lavorare sul rapporto tra immagine e scrittura. Tra le prime opere da annoverare nel percorso Pop di Bignardi vi è certamente Ombra di Silvia, (1963, esposto alla Galleria La Tartaruga), il ritratto della silhouette di sua moglie, un grande dipinto ad olio su tela che rivela non il corpo della donna, ma la sua proiezione su una parete. Osserviamo che già persiste la sensibilità di Bignardi nei confronti delle immagini proiettate, nonostante la persistenza della pittura. La pittura è quindi solo un mezzo per indagare una realtà più viva, per certi versi tecnologica, con risvolti che sfociano nell’alveo della teoria della percezione. È del 1965 la personale di Umberto Bignardi a L’Attico, dove espone anche Grande gaine Sud-Est Asia, insieme al Fantavisore, una struttura in cui uno specchio consente la lettura in sequenza di un ciclo di immagini, primo passo di un processo che gli consentirà di mettersi in discussione muovendosi dalla progettualità del disegno alla pluralità dinamica del cinema espanso. Con il Fantavisore del 1965 Bignardi presenta una struttura in cui diverse immagini possono essere caricate all’infinito, prestandosi ad apparire mediante la luce riflessa da uno specchio, capace di moltiplicare il flusso delle medesime immagini. In questa occasione l’artista espone anche il suo Prismobile, con i corpi femminili che mutano fisionomia, proprio come accadeva alle pubblicità in movimento che iniziavano ad apparire sulle strade di Roma.

Catalogo Fuoco Immagine Acqua Terra, Galleria L'Attico Roma

Catalogo Fuoco Immagine Acqua Terra, Galleria L’Attico Roma

UMBERTO BIGNARDI. FUOCO IMMAGINE ACQUA TERRA

Ma il 1967 è l’anno di Fuoco Immagine Acqua Terra e IM-SPAZIO, due mostre straordinariamente importanti per la lettura della storia dell’arte italiana degli anni Sessanta. La prima è probabilmente una delle mostre paradigmatiche di questi anni: per l’occasione Bignardi per la prima volta espone il Rotor, riproposto nella mia mostra in Galleria Bianconi a Milano nel 2020 con un allestimento filologico (e un testo molto illuminante di Bruno Di Marino, critico e studioso che gli è sempre stato vicino), che citando Muybridge presenta quella che oggi definiremmo videoinstallazione, con i corpi (anche nudi, dello stesso Bignardi e di altri suoi compagni di strada dell’epoca) in movimento e animati nello spazio, attivando un coinvolgimento sensoriale del pubblico, avvolto dal silenzio. Sarà l’avvio di un lavoro complesso che negli anni successivi troverà ampio sviluppo in tutto il lavoro multimediale che concepirà per Olivetti e IBM nel ruolo di direttore artistico per grandi esposizioni, convention e altri eventi. La seconda è presentata da Germano Celant a La Bertesca di Genova, con Ceroli, Icaro, Mambor, Mattiacci e Tacchi. In entrambi i casi protagonista del lavoro di Bignardi è il Rotor, su cui Celant nel catalogo scrive: “come in un rotor si perde la dimensione ponderale e fisica del nostro corpo nello spazio, così col rotor vision, limmagine particolare”, i gesti primari, si centrifuga sulle pareti, sugli oggetti, sullo spettatore, perde la dimensione di immagine fissa, di quadro, di tela, di superficie immobile percepibile, diventa imspazio puro. La macchina-fulcro-nucleo della visione spinge, infatti, limmagine nello spazio non si cura di invaderlo, di sovrapporsi ad altre immagini, come uninsaziabile image-machine divora, costruendo imspazio, ogni gesto ed ogni ambiente con cui viene a contatto”.

 Sargentini, Bignardi e altri, Venezia 1966. Archivio Bignardi


Sargentini, Bignardi e altri, Venezia 1966. Archivio Bignardi

UMBERTO BIGNARDI. ROTOR

Su Rotor viene proiettato il film Motion/Vision (concepito con Alfredo Leonardi), insieme ad alcune slide che donano un effetto da cinema d’animazione, anche grazie a tantissime opere su carte che riproducono il movimento esseri umani e animali. È lo stesso maestro a suggerirci, in occasione di questa mostra in Galleria Bianconi: “il Rotor nasce decisamente dal lavoro su Muybridge, ovvero da un mio studio su ciò che è stato il cinema prima del cinema, e da unanalisi delle macchine che i pionieri di questo linguaggio sviluppavano per far vedere le immagini in movimento. Attraverso il Rotor cercavo un effetto più espanso, lo schermo infatti non era più quello piatto e il visitatore si trova al centro di una narrazione visiva attraverso unestroversione dellimmagine. Ruotando, lo schermo attraverso lo specchio, il sistema rinviava nello spazio circostante porzioni di immagini”. Sono anche anni di dialoghi densi con i critici, di serrati confronti attorno alle ragioni proprie della ricerca artistica e di scambi costanti, come avviene con Alberto Boatto, Maurizio Calvesi e, soprattutto, con Germano Celant. Cambia vita, cambia città, si trasferisce a Milano (dove ha sempre vissuto fino a ieri) e qui inizia a lavorare nel mondo delle industrie avanzate, allontanandosi volontariamente dal sistema dell’arte contemporanea. Riprenderà negli anni Novanta (fino a tempi recentissimi, in un percorso ancora tutto da indagare, in attesa magari che si possa avviare un lavoro sistematico per un catalogo ragionato), con la fondamentale mostra antologica curata da Laura Cherubini alla Sapienza, la prima ad aver ricostruito con impegno filologico la sua storia.

Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1964 1967), a cura di L. Madaro. Exhibition view at Galleria Bianconi, Milano 2020. Photo Tiziano Doria

Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1964 1967), a cura di L. Madaro. Exhibition view at Galleria Bianconi, Milano 2020. Photo Tiziano Doria

UMBERTO BIGNARDI. IL RICORDO

Due anni fa, prima che scoppiasse la pandemia, avevamo in programma un incontro pubblico a Milano che, ne sono sicuro, sarebbe stato intenso ed emozionante: Umberto in dialogo con Fabio Sargentini sul solco di una storia che per alcuni anni è stata comune. L’arrivo del Covid-19 a Milano e altrove sconvolse anche i nostri piani. Umberto credo che sognasse anche una sua antologica a Roma. Spero che nel prossimo futuro un museo romano potrà realizzare questo legittimo desiderio di chi in questa città ha cambiato le sorti della storia dell’arte, con discrezione, rigore e stile. Parlavamo proprio di te, Umberto, qualche ora prima della tua morte con Fabio Sargentini all’Attico. Sarebbe bello se arrivasse un omaggio al tuo lavoro anche da Fabio Sargentini, l’unico in grado di progettare un remake senza cadere mai nella commemorazione filologica.

Eliseo Mattiacci e poi Umberto Bignardi, Fabio Sargentini e Pino Pascali.

Eliseo Mattiacci e poi Umberto Bignardi, Fabio Sargentini e Pino Pascali.

UMBERTO BIGNARDI. IL RICORDO DI FABIO SARGENTINI

“Guardate bene questa foto”, scrive nel suo ricordo Fabio Sargentini. “Si riferisce alla primavera del 1968, è un’immagine di noi quattro: da sinistra Eliseo Mattiacci e poi Umberto Bignardi, il sottoscritto e Pino Pascali. Siamo nel parco del Museo di Wiesbaden, in occasione della mostra che io organizzai con i giovani artisti de L’Attico. Non erano mai usciti da Roma e quello era pur sempre un Museo internazionale. Infatti siamo su di giri, pimpanti trentenni. Ebbene, guardando la foto constato di essere l’unico vivente dei quattro. Umberto era un magnifico disegnatore colorista. Conservo ancora dei suoi disegni ispirati a Muybridge. Stasera li riguarderò, tra gioia e mestizia”.  

– Lorenzo Madaro

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Lorenzo Madaro

Lorenzo Madaro

Lorenzo Madaro è curatore d’arte contemporanea e, dal 2 novembre 2022, docente di ruolo di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia delle belle arti di Brera a Milano. Dopo la laurea magistrale in Storia dell’arte all’Università del Salento ha conseguito il master…

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