Donne e colonialismo alla Biennale del Mediterraneo

Binta Diaw e Annalisa Cannito sono due delle artiste che espongono alla Biennale del Mediterraneo 19, quest’anno ospite della Repubblica di San Marino. I loro lavori sono estremamente differenti, eppure insistono sui medesimi temi: immigrazione e colonialismo nel Mediterraneo. Donne, artiste e femministe, Binta e Annalisa hanno coraggio da vendere.

Nelle vene di Binta Diaw e Annalisa Cannito scorre sangue per metà africano e per metà italiano. Binta, classe 1995, è una visual artist italo-senegalese. La sua ricerca è finalizzata alla creazione di installazioni di varie dimensioni e opere che commentano fenomeni sociali come la migrazione e l’immigrazione, nozioni di identità e corpo femminile. Sfidando lo sguardo occidentale attraverso una sensibilità sovversiva, la sua pratica interroga le percezioni dell’italianità e dell’africanità viste come un ampio simposio informato dal proprio patrimonio culturale e dall’educazione. Abbracciando l’arte visiva con una metodologia fortemente intersezionale, afro-diasporica e femminista, basata su un’esperienza personale fisica, è infine in grado di esplorare i molteplici strati della sua blackness, il suo sé come corpo sociale e la sua posizione di donna nera in un contesto occidentale.

Binta Diaw, Uati’s Wisdom, 2020

Binta Diaw, Uati’s Wisdom, 2020

L’ARTE DI BINTA DIAW

Binta espone al secondo piano della Torre Guaita di San Marino, ma le sue lunghe trecce nere invadono anche lo spazio sottostante. Salendo lungo la scalinata, si scorge il primo ciuffo di capelli (sintetici) e poi il primo intreccio, fino ad ammirare l’installazione per intero. Lunghe trecce nere partono dal soffitto, come un drappo o un baldacchino, e raggiungono la scalinata. Entrando nella stanza si respira l’atmosfera di un santuario meditativo, fuori dal comune, in cui l’opera dialoga con quanto si scorge oltre la finestra, il mare della riviera romagnola. L’installazione di Binta Diaw prende come punto di partenza la divinità dell’Africa occidentale e la dea dell’acqua, Mami Wata. L’artista si ispira alle antiche tradizioni matriarcali africane e alle comunità che hanno venerato questa figura e sono state manipolate da colonizzatori e missionari, che hanno tentato di spogliare le donne del potere e dell’autogoverno.

Madison Bycroft, Buoy, 2021, performance

Madison Bycroft, Buoy, 2021, performance

L’OPERA DI ANNALISA CANNITO

Annalisa Cannito è un’artista transdisciplinare, ricercatrice indipendente e attivista politica che lavora sui temi dell’immigrazione nell’Unione Europea, sui beni comuni, sulle memorie collettive e sull’arte negli spazi pubblici. Alla Biennale del Mediterraneo di San Marino espone nel Teatro Titano. L’opera si intitola Lifesaver e indaga l’impatto dell’eredità fascista e colonialista sulla società contemporanea. Un vecchio baule di legno su cui, all’esterno, è poggiato un salvagente di cemento dorato con piccole bandiere dell’UE al posto dei lacci. Il baule contiene le memorie di un passato buio sia per l’Italia che per i luoghi da essa colonizzati durante il fascismo: l’Etiopia, per esempio. È il baule dell’anti-colonialismo, dell’oro sottratto dal fascismo, dell’anti-fascismo e del viaggio. Più che viaggio un’odissea verso porti apparentemente sicuri: è il baule delle responsabilità dell’Europa verso i migranti.

‒ Chiara Di Giorgio

https://www.bjcem.org/mediterranea19/

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