La montagna e l’arte contemporanea. In una mostra a Torino

Fino all'8 novembre, il Museo Nazionale della Montagna di Torino offre una mostra temporanea incentrata sulle letture che quattro artisti contemporanei hanno fatto dell'immenso archivio del museo.

È un patrimonio straordinario quello conservato dalla Fototeca del Centro Documentazione Museomontagna di Torino: basti citare le immagini scattate da Vittorio Sella alla fine del XIX secolo, in parte consultabili sul sito mountainmuseums.org, “catalogo collettivo degli archivi di montagna”, altra iniziativa degna di nota che il museo torinese ha messo in piedi insieme al Musée Alpin di Chamonix.

GLI ARCHIVI DEL MUSEO DELLA MONTAGNA

Ma nell’affascinante sede sul Monte dei Cappuccini si trovano molti altri tesori, fermi restando al patrimonio documentario: qui trova sede, infatti, la Biblioteca Nazionale del CAI – Club Alpino Italiano, con le sue carte topografiche, i libri e le riviste; qui ci sono fondi e archivi che fanno capo a leggende dell’alpinismo come Walter Bonatti e Mario Fantin; e ancora, ci sono le Raccolte Iconografiche, la Cineteca e la Videoteca storica.
Ora, immaginate un poker di artisti contemporanei, due donne e due uomini, a cui sia dato libero accesso a questo enorme scrigno. Innanzitutto ci vuole la lungimiranza e l’apertura mentale di conservatori come Veronica Lisino e di curatori come Giangavino Pazzola. E poi ci vogliono gli artisti “giusti”, non a digiuno di montagna ma nemmeno tanto addentro alle fatiche delle vette da non riuscire ad alzare lo sguardo per offrire una visione laterale, eccentrica, altra.

Laura Pugno, Abused, 2020, stampa Inkjet, cioccolato e Toblerone, 28,5x38,5 cm

Laura Pugno, Abused, 2020, stampa Inkjet, cioccolato e Toblerone, 28,5×38,5 cm

LAURA PUGNO E MARINA CANEVE

Tutto questo è riuscito pressoché alla perfezione. Laura Pugno (Trivero, 1975), che gioca in casa – perché vive a Torino, ma anche e soprattutto perché la montagna è parte integrante della sua esperienza di artista e di essere umano, come testimonia l’installazione permanente al Giardino Botanico Saussurea di Courmayeur –, prosegue la sua decennale indagine sul paesaggio, indagandone senza ingenuità il rapporto fatale e strutturale con l’uomo, che si tratti dell’abuso provocato dallo scioglimento di un celebre cioccolato montano o della fugace empatia che stabiliamo di fronte alle vette, o meglio alle loro riproduzioni.
Dal canto suo, Marina Caneve (Belluno, 1988) dispiega le proprie eccellenti doti di fotografa in una indagine complessa e post-mediale dell’idea stereotipata di montagna, scansando abilmente la stereotipia uguale e contraria che sarebbe consistita nel mostrare rifiuti e merenderos. Anche in questo modo si potrebbe interpretare il titolo della sua serie di stampe a getto d’inchiostro, Entre chien et loup, espressione idiomatica e poetica che indica il crepuscolo, quel momento di indecidibilità fra giorno e notte, fra luce e buio, appunto fra cane e lupo che rende la realtà instabile e foriera di risvolti inattesi, in un momento di grande apertura che si rinnova ogni giorno e che – nel migliore dei mondi possibili – dovrebbe stimolare una similare openness nel nostro modo di osservare la montagna e il mondo del suo complesso.

Vittorio Mortarotti, Una linea, 2019 20, Inkjet Print on Hahnemühle Fine Art PhotoRag Baryta, 110x140 cm

Vittorio Mortarotti, Una linea, 2019 20, Inkjet Print on Hahnemühle Fine Art PhotoRag Baryta, 110×140 cm

VITTORIO MORTAROTTI E DAVIDE TRANCHINA

Segnavia, iscrizioni, abiti dismessi e abbandonati. Quella di Vittorio Mortarotti (Savigliano, 1982) è una montagna violata, d’accordo, ma soprattutto è una montagna che non ha nulla di eroico, che ha perso – qualora mai l’avesse avuta – quella connotazione di ascesa interiore che in certe interpretazioni alpinistiche si accompagna all’ascesa fisica, d’altitudine. Piuttosto, è un cammino in profondità, una speleologia più che un’arrampicata.
Infine, Davide Tranchina (Bologna, 1972), il decano di questa quadriglia. Le sue vette si muovono verso l’astrazione, sono silhouette profondissimamente nere e opache, disegnate da un nero screziato di stelle (questa però è una lettura superficiale, anzi figurativa: potrebbe essere tutt’altro, potrebbero non essere vette, potrebbero non essere stelle e cielo notturno); oppure sono, tutt’al contrario, morbide linee sfocate, che con estrema calma si muovono dal marrone al giallo chiarissimo: vale il discorso appena fatto, ovvero che sono profili di montagne lontane, ma soltanto perché sono Polaroid allestite al Museo della Montagna.

Marco Enrico Giacomelli

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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