Trisha Baga a Milano: l’ineludibile mescolanza di linguaggi

Con videoinstallazioni e manufatti, all'HangarBicocca l'artista americana di origini filippine allestisce una rappresentazione della nostra epoca. Influenzata dalle tecnologie, dal mainstream e da linguaggi antilineari.

La mescolanza è il tratto saliente del nostro immaginario, sembra dirci la rappresentazione della nostra epoca fornita da Trisha Baga (Venice, Florida, 1985) con la sua personale nello spazio Shed di HangarBicocca a Milano. Non mescolanza nel senso di un fecondo melting pot ma un caotico, forsennato mix di cultura alta (poca), popolare e soprattutto tecnologia.
Costruita come una grande installazione complessiva che riunisce diverse opere, la mostra ha la forma di un museo disperso e dissennato, sospeso fra tecniche classiche come la ceramica, ritrovati tecnologici, slanci onirici e trivialità “pop”. Un’esposizione non facilmente leggibile, sospesa tra grande dispendio di energia produttiva e atmosfera lo-fi, che trova forse i suoi momenti più felici nelle proposte in apparenza più semplici.

Trisha Baga, Mollusca & The Pelvic Floor, 2018. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2020. Courtesy the artist; Greene Naftali, New York, and Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Trisha Baga, Mollusca & The Pelvic Floor, 2018. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2020. Courtesy the artist; Greene Naftali, New York, and Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

GLI STIMOLI PARASSITI DI TRISHA BAGA

Tra le grandi videoinstallazioni spiccano in effetti le ceramiche: dopo un gruppo di barboncini-sfingi, sfila un campionario di oggetti quotidiani fossilizzati, grumi di materia che sfiorano l’astrazione ma evocano la corporalità, personaggi come Ru Paul e Elvis Presley con dispositivo Alexa incorporato. Alle pareti, una proiezione di immagini fisse ricorda ironicamente e per contrasto ciò che, per tradizione, si suppone debba invece essere un museo: un concerto di reperti classificati e organizzati secondo uno schema predefinito e una consequenzialità.
Il posto principale in mostra è però lasciato alla produzione video dell’artista. Immagini sovrapposte, di qualità visiva volutamente bassa anche quando realizzate con mezzi aggiornati, si succedono e si sovrappongono sullo schermo. Come se si trattasse di documentari o reportage amatoriali, interrotti da stimoli parassiti riguardanti l’estetica preconfezionata del mainstream.

Trisha Baga. the eye, the eye and the ear. Exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2020. Courtesy the artist and Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

Trisha Baga. the eye, the eye and the ear. Exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2020. Courtesy the artist and Pirelli HangarBicocca, Milano. Photo Agostino Osio

IN CONTROLUCE IN HANGARBICOCCA

Il punto centrale è in definitiva l’influenza dei mezzi tecnologici e di Internet con la loro logica sparsa. Il loro imperio spunta immancabilmente “in controluce” in ognuna delle immagini proiettate. Impossibile uscirne, sembrano dire i video: ogni immagine, qualunque grana possieda, è aleatoria, virtuale, patinata anche se sporca, aleggiante come un fantasma. E l’ambientazione delle videoinstallazioni, circondate da oggetti di recupero o d’arredo, aggiunge un ulteriore tocco di ambiguità tra reale e virtuale, concreto e ologrammatico.
La mostra stessa sembra perdere di compattezza man mano che la si percorre, si sfilaccia in mano al visitatore e smorza gli spunti narrativi che sembra introdurre. E diventa impossibile capire quanto questo sia un difetto oppure una dose di freddezza voluta e programmata, per rispecchiare un’epoca spersonalizzata proprio perché sovraccarica di stimoli.

– Stefano Castelli

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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