A Bilbao con Olafur Eliasson

In Spagna stanno riaprendo i principali musei. Il Guggenheim di Bilbao non è da meno e ha riaperto la grande mostra di Olafur Eliasson, che avevamo visitato prima del lockdown.

Facile, stimolante e coinvolgente. Se tutta l’arte del nostro tempo fosse, al primo approccio, così immediata come l’opera di Olafur Eliasson (Copenhagen, 1967), avrebbe senza dubbio un appeal maggiore nei confronti della gente. E perderebbe forse quell’aura di oscuro oggetto per pochi iniziati, troppo spesso ostico e incomprensibile.
L’artista danese di origini islandesi ‒ che vive e lavora tra Berlino e Copenhagen ‒ ha il dono di trasformare l’arte contemporanea in un’esperienza individuale o collettiva attraente, che, come un gioco, coinvolge i cinque sensi per portare il suo messaggio a destinazione. Lo dimostra il numero di visitatori che ha affollato l’estate scorsa la sua prima grande retrospettiva alla Tate Modern di Londra (con un incasso di oltre 9 milioni di sterline). La mostra In Real Life, realizzata in collaborazione con il Guggenheim di Bilbao, è ora allestita nel capoluogo basco, con qualche piccola variazione nel montaggio.

LO SPETTATORE SECONDO OLAFUR ELIASSON

Per Eliasson lo spettatore non è una figura accessoria all’interno del processo creativo: senza l’interazione con il pubblico ‒ una partecipazione anche solo emotiva o stimolata da pura curiosità ‒, il magico mondo dell’artista scandinavo non si animerebbe, perderebbe forse parte del suo significato più profondo. È il caso dell’ombra colorata sulla parete bianca di una sala vuota (Your encertain shadow, color, 2010): nel momento in cui entra in campo un soggetto, l’ombra compare in scena per proiettare e ingigantire ogni minimo movimento. “Tu dapprima vedi l’ombra, ne percepisci con sorpresa la presenza” ‒ spiega Olafur ‒ “e poi, in un secondo momento, anche l’ombra vede te, ti segue, in una doppia prospettiva che diverte molto la gente”.
Eliasson sfrutta l’effetto sorpresa, invita a interagire con i suoi giochi ottici o esperimenti naturali; stimola a riflettere sull’apparente semplicità del mondo che ci circonda, fatto spesso di polvere e acqua, luci e ombre, colori e geometrie, specchi e riflessi. Ma non tutto ciò che sembra immediato o evidente è sempre così facile da creare o da capire. La realtà è talvolta (anzi molto spesso, secondo l’artista) puro artificio: lo dimostra la cascata ricreata al di fuori dal museo (della serie Waterfall, 2019, ma iniziata negli Anni Novanta), usando un’impalcatura di undici metri d’altezza dalla quale una pompa getta con forza nel lago sottostante l’acqua, che risuona nell’aria come se ci trovassimo sulle pendici alpine.

Olafur Eliasson, Cascata (Waterfall), 2019. Ponteggio, acqua, legno, pannello di plastica, alluminio, pompa, manicotto. Altezza: 11 metri, diametro: 12 metri. Vista dell’installazione: Tate Modern, Londra, 2019. Foto: Anders Sune Berg Cortesia dell’artista; neugerriemschneider, Berlino; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2019 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Cascata (Waterfall), 2019. Ponteggio, acqua, legno, pannello di plastica, alluminio, pompa, manicotto. Altezza: 11 metri, diametro: 12 metri. Vista dell’installazione: Tate Modern, Londra, 2019. Foto: Anders Sune Berg Cortesia dell’artista; neugerriemschneider, Berlino; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2019 Olafur Eliasson

TRENTA OPERE PER TRENT’ANNI

In Real Life racconta, attraverso una trentina di pezzi senza un preciso filo cronologico, trent’anni di attività dell’artista multidisciplinare. La mostra a Bilbao è curata dalla spagnola Lucía Aguirre, che ha collaborato al progetto insieme a Mark Godfrey, curatore dell’edizione londinese. L’architettura del museo ‒ il visionario edificio progettato da Frank Gehry più di vent’anni fa, dai soffitti altissimi e dalle pareti spesso sinuose ‒ ha influito sensibilmente sull’allestimento e sulla scelta delle opere in mostra. Rispetto a Londra, per esempio, a Bilbao non c’è un corridoio della nebbia, ma una vera e propria stanza, (Your atmosferic colour atlas, 2009), nella quale il visitatore si immerge come nell’atmosfera inquinata delle nostre metropoli, non senza una certa sensazione di disagio.
La mostra riunisce opere d’esordio, della prima metà degli Anni Novanta (come la poetica Window projection del 1990) o Wannabee (del 1991) che Olafur crea in maniera del tutto sperimentale nel bar dove lavorava da giovane; fino ai recentissimi Colour Experiment (del 2019) o The presence of absence pavilion (bronzo del 2019), che richiama idealmente le grandi installazioni-performance realizzate con i ghiacci della Groenlandia a Copenhagen nel 2014, o durante la Cop21 di Parigi, nell’anno seguente. Ma sono il passaggio attraverso il cilindro a specchi deformanti di Your Spiral view (2002), gli effetti ottici stranianti della sala illuminata da lampade a monofrequenza (Room for one color, 1997) o la meravigliosa visione di Beauty (1993) a rendere la visita alla mostra un’esperienza sensoriale forte e intensa.
Nella prima sala, un’immensa scatola trasparente (Model Room, 2003) custodisce circa 450 modellini o maquette di progetti, artistici, architettonici o scientifici, datati tra il 1996 e il 2014, prima cioè dell’avvento del 3D. Stupisce la quantità e varietà delle ricerche che Eliasson affronta da anni nel suo studio di Berlino, insieme a un centinaio di collaboratori dalle più svariate specializzazioni, come architetti, artigiani, biologi, storici dell’arte e persino cuochi.
L’arte di Olafur Eliasson è immersiva e affascinante: l’immagine riflessa upside down nello specchio concavo; l’aroma che emana dalla parete di licheni bianchi, soffici al tatto; il movimento di un grande ventilatore che oscilla sulla testa del pubblico, a seconda dell’energia che sprigiona, fino alla visione falsata delle opere in una stanza divisa in due da un telo spesso di plastica trasparente. Basta poi adagiarsi comodamente su Fog couch (2018), l’enorme sofà dello studio di Olafur a Berlino, per capire lo spirito dell’artista: ogni singola posizione delle sedute (14 in tutto) corrisponde a un momento diverso nella sua giornata lavorativa.

ELIASSON: DESIGN E IMPEGNO SOCIALE

Anche gli interessi politico-sociali e le preoccupazioni etiche di Olafur Eliasson sono evidenti: l’arte è riflessa nella geometria dell’universo e nelle sue leggi scientifiche, ma le meraviglie della natura ‒ i ghiacciai e fiumi che spesso fotografa ‒ sono contaminati dall’azione dell’uomo. L’arte si converte non solo in un mezzo straordinario per riflettere sul presente e indagare il passato, ma anche in uno strumento per agire sul futuro. Da qui le azioni di Olafur Eliasson fuori dai musei, che nascono spesso con una coscienza ecologica o con un proposito umanitario, e che l’anno scorso gli sono valsi il titolo di Ambasciatore di buona volontà nel programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
L’arte non è l’oggetto ma ciò che l’oggetto fa al mondo”, dichiara l’artista. Nascono così i suoi tanti progetti etico-solidali ed eco-sostenibili, come The Sun Light (2012), per portare la luce nei luoghi dove l’assenza di elettricità non permette ai giovani di studiare; The Green Light, frutto di un doppio workshop artistico con immigrati e richiedenti asilo, in collaborazione con TBA21, la fondazione di Francesca Thyssen; e la recente SammanLänkad, serie di piccoli pannelli solari domestici esito della partecipazione dell’artista ai Democratic Design Days promossi da Ikea.

Federica Lonati

www.guggenheim-bilbao.eus

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #21

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Federica Lonati

Federica Lonati

Federica Lonati (Milano, 1967), giornalista professionista italiana, dal 2005 vive a Madrid. Diploma al Liceo Classico di Varese e laurea in Lettere e Filosofia all’Università Cattolica di Milano, si è formata professionalmente alla Prealpina, quotidiano di Varese, scrivendo di cronaca,…

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