Lettere dal fronte domestico. La quarantena raccontata dall’artista Reverie

Amici e colleghi condividono con la redazione di Artribune piccoli racconti ed esperienze dalla quarantena. Anche nella Fase 2, uno spazio di condivisione di idee, pensieri, speranze

Dopo due mesi difficili, nei quali tutta l’Italia è bloccata, e ancora in questa Fase 2 nella quale i musei sono ancora chiusi, gli amici lontani e i luoghi di ritrovo sono scomparsi a causa dell’emergenza Coronavirus, l’isolamento fisico necessario a proteggerci è indispensabile ma non deve limitare le nostre relazioni emotive, ancora più importanti per sostenerci l’un l’altro. Per dare un segno della nostra volontà di stare insieme abbiamo chiesto a tanti intellettuali di scrivere una lettera che dica cosa si sta facendo, che libro si sta leggendo o rileggendo, che racconti le difficoltà, le scoperte e le riscoperte. Dopo la prima lettera scritta da Antonio Mancinelli, Caporedattore di Marie Claire, sono seguiti i dispacci della giornalista e critica d’arte Alessandra Mammì,  della curatrice Domitilla Dardi, dell’architetto Antonio Forcellino, della corrispondente dalla Spagna di Artribune Federica Lonati, della curatrice e docente IUAV Maria Luisa Frisa, del critico e curatore Gianluca Marziani, il curatore Alessandro Facente, il regista Pietro Mereu da Milano, il manager culturale Fabio Severino. A raccontarci la propria quarantena è adesso l’artista Reverie (Clara Tosi Pamphili).

Caro Tempo,

Come stai? Mi permetto di rivolgere a te la mia lettera dal fronte e, data la stretta morsa della quotidianità che ci tiene legati ai reciproci respiri, lo faccio dandoti del tu.

Più volte ti ho detto quanto tu sia la mia ossessione primaria e primigenia e in ogni mio lavoro e opera penso di avertelo dimostrato con delicata venerazione.

Sento il bisogno di parlarti adesso più che mai. Ritengo che possa esserci tra di noi un dialogo sincero.

Tu che doni aria e nello stesso istante la respiri via.

Tutto è fatto di te: le vite, le occasioni, i momenti, i ricordi, le ferite, i gesti, gli incubi, i sogni… Nulla ti sfugge. Dai corpo a ogni cosa seppur priva di corpo. Dai peso perfino alla leggerezza. Dai un ritmo alle esistenze di tutti e ciascuno deve fare i conti con te nel bene e nel male.

Sei un giudice calcolatore che considera ogni essere alla pari e che agisce con coerenza, equità e senza eccezione.

Eppure oggi tu riposi e lasci il mondo in attesa.

Dormi come in un inesorabile letargo.

Mentre noi siamo chiusi nelle nostre “stanze tutte per noi” che ci privano della tangibilità del cielo, di vivere il passare delle ore, di respirare le albe di “domani è un altro giorno”, di rinascere dopo ogni notte… tu taci. E io sento il buio di questo silenzio, una voragine senza fine.

È da troppi giorni ormai che giro clessidre pesando l’assenza.

Ti cerco senza successo.

 

IL TEMPO DURANTE LA QUARANTENA

Le lancette cadono inesorabili: apro gli occhi in attesa di richiuderli quando sentirò la fatica del vuoto apparente. Rispondo ai miei bisogni primari riempiendo la tua mancanza con un agire incontaminato.

È da quasi trenta giorni che non vedo la luna, caro Tempo.

Sembra un’eternità che non seguo i cambiamenti della mia amica ombra per strada mentre mi accompagna col passare del giorno. Vedi, senza di te sono persa… e ti ho perso.

Parlo di eternità ma non so cosa questa parola adesso voglia dire. Ma senza lasciarci né alla mitologia del passato né alla brama di un futuro invisibile, mi chiedo:

Che cosa significa oggi la stessa parola “oggi”?

Che cos’è il nostro “domani”?

Dov’è il nostro “presente”?

Mi sento cieca.

Di questo mi scopro sofferente seppur le mie mani siano purissime. Mentre apparentemente i miei occhi stanno vivendo troppo, vedendo troppo e anziché godere del nutrimento anche loro si sentono persi.

Nel mondo virtuale, che è attualmente il “nostro” spazio più concreto, ci si diverte condividendo foto di tanti anni fa “accettando le sfide” o momenti imbarazzanti “until tomorrow” ma nessuno sa che cosa realmente sarà quel “fino a domani”.  Mentiamo a noi stessi raccontandoci di aver “guadagnato” del tempo ma è solo un’illusione.

Tu non ti puoi donare perché sei lontano, altrove.

Noi non possiamo riceverti perché non c’è mai stato possibile averti a comando e a nostro bisogno. Noi possiamo soltanto imparare a vivere senza di te, il tuo controllo, il tuo essere vigile.

Per quanto mi riguarda sono sempre stata sola. Una solitudine scelta che mi ha permesso un’esistenza fatta di felice equilibrio e serena follia. E malgrado oggi si debba pagare il prezzo di vita di una solitudine imposta, mi sento fortunata perché sto bene, i miei cari stanno bene e riesco a vivere con Arte in libertà anche in questo confine… Ho imparato a seguire questo nuovo ciclo cucendolo su di me malgrado tutto e malgrado te.

Perché se c’è una cosa che mi manca sei tu.

Tra le tante letture di questi giorni, spero mi capiterà presto una favola in cui si racconti che Tempo colpito da un sonno senza fine viene svegliato dal bacio di un cavaliere… e “vissero tutti felici e contenti”.

Sa un po’ di “andrà tutto bene” ma non toglietemi i sogni.

-Reverie

 

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