L’inopia degli artisti. Prove generali di rivoluzione

Le provocatorie riflessioni di Antonio Barrese sul sostegno agli artisti, che potrebbero rifiutarsi di pagare tasse e affitti.

L’appello di Sergio Risaliti ad andare in soccorso degli artisti il prima possibile è giusto, ma vano. Campa cavallo che l’erba cresce! Non ci saranno soldi per nessuno e, nel caso ce ne fossero, occorrerà investirli per decostruire il mondo vecchio e costruire il mondo nuovo.
È ovvio che costruire necessiti di un progetto e che il progetto necessiti di quel metaprogetto chiamato arte. Ma forse è anche giusto che il mondo dell’arte – e degli “artisti” – sia sfoltito da una tardiva selezione naturale. Tutto ciò che Risaliti scrive, auspica, reclama è sacrosanto, ma per uno della mia età il sapore è quello di una pietanza più volte riscaldata: uno di quegli appelli da anime belle, da “intellettuali” e da vippettini di varia natura.
Io la vedo più facile e persino meno compromettente: chiedere e ottenere soldi dallo Stato – con l’intermediazione di qualche politico – è rischioso e persino umiliante. Se gli artisti avranno soldi per pagare l’affitto lo paghino, se avranno possibilità di acquistare i materiali per le loro opere lo facciano. Ma è più facile che la situazione sia diversa: di totale inopia.
Ebbene è molto semplice: in primis occorre salvaguardare la necessità di lavorare, di riservare le risorse per le cose che occorrono al lavoro.
Quindi consiglio quanto segue (in ordine di importanza e di minor rischio).
Non pagare eventuali debiti con le banche.
Non pagare le tasse.
Banche e fisco, negli ultimi decenni, si sono comportati da vampiri stritolacristiani. Naturalmente per non pagare questi molossi bisogna essere nullatenenti, in modo che qualsiasi ritorsione cada nel vuoto. Inoltre, qualora i tentativi di salvataggio economico tentati dal Governo italiano, dall’Europa, dagli USA, dalla Cina e dalla Russia non avessero buon esito, bisognerebbe smettere di piagnucolare e adottare modi più efficienti ed efficaci.
Con qualche maggiore noia e intelligenti precauzioni si possono attuare modalità a effetto immediato:
non pagare l’affitto
non pagare le bollette
non pagare tutto quanto assilla.
Vi sarebbero dei pericoli, che si eliminerebbero trasformando i vincoli in opportunità, cioè trasformando i mancati pagamenti da debolezza solitaria a protesta collettiva.
Però bisogna avere il coraggio di uscire dalla tana nella quale si sta acquattati e rendere pubblico, senza vergogna, questo sciopero dei pagamenti. Non bisogna avere paura: il terrorismo economico è uno dei principali strumenti di controllo sociale, ma è solo uno spauracchio. In realtà non possono fare nulla se non abbaiare un po’, inviare qualche cestinabile intimazione, far bussare da qualche povero ufficiale giudiziario.
Ma, ripeto, bisogna uscire dalla solitudine, proclamare la propria identità, vantare il proprio ruolo. E una proposta che deve essere elaborata, ovviamente.
È calzante la frase pronunciata da Woody Allen nell’ultima scena de Il prestanome (Martin Ritt, 1976): “Non riconosco alcuna autorità a questa commissione. Andate dolcemente a prenderlo in culo”.

Come si può certificare di essere artista, con l’iscrizione alla SIAE, presentando un curriculum e/o qualche catalogo? Forse con il diploma di laurea dell’accademia?

Da qualsiasi parte si guardi il problema dell’arte e degli artisti, presenta crepe e deformazioni che finora sono state trascurate o si è finto di non vedere. Questo accade perché tutto sta cambiando. Il mondo che seguirà la quarantena, l’isolamento, si sta organizzando autonomamente, essendosi innescato senza che noi lo volessimo, generando un sovvertimento ultra potente, che non necessita del nostro volere e delle nostre intenzioni (che peraltro, a oggi, latitano). E che per questo non può neppure chiamarsi “rivoluzione” – pur essendolo – ma è la prima rivoluzione, nella storia della specie umana, che avviene non per volontà popolare o di qualche gruppo sociale emergente, ma per via di un algoritmo biologico in larga misura eterodiretto. Ci stiamo avviando verso un mondo pienamente informatizzato, digitale, nel quale alcuni sciocchi protesteranno perché i soldi mancano, non sono più quelli di una volta, e cercheranno tutele vecchie e stantie, invece che organizzarsi per progettare il mondo nel quale si vivrà. Altri sciocchi – sempre per evitare di affrontare il cambiamento, la speciazione ‒ si preoccuperanno della privacy, come se tutto il Nuovo si riducesse a reclamare una cosa che non esiste, a un pararsi il culo.
Scrivo qui di questi aspetti perché nel sistema che si sta determinando emergono nodi densi di significati, che condizioneranno tanti aspetti del mondo after COVID-19. Per esempio, esistono legami tra “illusione della privacy” e “illusione dell’arte”, entrambe caramelle concesse dal “sistema dell’eterodirezione”. Sia l’illusione dell’arte che l’illusione della privacy fanno credere di essere sopra la media, fuori dalla mischia, di appartenere a un mondo esclusivo e di meritare consenso e plauso. Ma entrambe sono illusioni prevedibili che sarebbe meglio evitare e non far diventare inutili problemi.

CERTIFICAZIONI DI ARTISTA

Allora, in risposta ad Alberto Fiz, provenendo da quel mondo before COVID-19 largamente illusorio, ma lamentandosi al tempo presente, cioè nel mondo after COVID-19, come si può certificare di essere artista, con l’iscrizione alla SIAE, presentando un curriculum e/o qualche catalogo? Forse con il diploma di laurea dell’accademia? Meglio sarebbe esibendo una dichiarazione dei redditi che non presenti entrate diverse da quelle del lavoro artistico e che quindi sancisca che si è professionisti e non dilettanti. In questo caso gli artisti meritevoli di aiuto dallo Stato sarebbero qualche decina, e il problema risolto alla fonte.
Naturalmente questa “certificazione” apre il problema dell’identità dell’artista che, a sua volta, si intreccia con la spinosa tematica del ruolo dell’arte e degli artisti. Se si presta orecchio alle infinite scemenze diffuse sui social media, si rabbrividisce e viene voglia di trasferirsi su Marte. Il problema è che oggi dichiararsi artisti è una specie di Aspirina anti frustrazione, un’autentica distrazione di massa diffusa per sedare l’infinito dolore della massificazione, dell’anonimato, del vedersi persi in un oceano di mediocrità. Quindi è meglio lasciar perdere qualsiasi rivendicazione a favore di un “popolo di non identificabili”. Ma questo è un discorso troppo grande per essere fatto adesso.
C’è di meglio da fare che cadere in queste trappole: il mondo attende di essere riprogettato dalle fondamenta, ci vorranno alcuni anni e c’è bisogno dell’intelligenza e della passione di tutti, dei giovani e dei vecchi, dei belli e dei brutti… Forza, andiamo avanti e lasciamo perdere le stupidate. Auguri a tutti gli artisti del mondo.

Antonio Barrese

LE PUNTATE PRECEDENTI

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ARTISTI E CORONAVIRUS – l’intervento di Mariantonietta Firmani

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