Operare ai margini del sistema: intervista al gruppo di artisti A.A.

Il neonato gruppo, composto da 10 giovani artisti, opera in luoghi insoliti, abbandonati o inutilizzati: è il valore culturale secondo i componenti di A.A., che si sono raccontati in questa intervista

A.A. è l’acronimo di una parola indefinita, interpretabile. È un gruppo che fonda la sua intera attività sul dubbio – il fondamento dell’esistenza, come scritto anche nel loro statement. A.A. è un progetto indipendente e autonomo, curato e gestito da dieci giovani artisti: Nicola Amato, Riccardo Angelini, Marco Ciuffetta, Sara Ciuffetta, Giuseppe Ciro de Gregorio, Nazareno De Santis, Francesco Falace, Luca Grossi, Samuele Mollo e Antonio Pipolo. Formatosi recentemente, questo run-artist-project organizza iniziative culturali in luoghi di provincia o periferia, per antonomasia lontani dai punti di riferimento istituzionali del sistema. Come accade ad esempio a Ceprano (in provincia di Frosinone), con In Liri Dynamis fino al 15 febbraio 2020, la prima mostra collettiva del gruppo allestita in un luogo insolito, ovvero l’interno di una torre medievale del Duecento: dapprima inutilizzato, questo sito storico potrebbe ora riacquistare valore agli occhi del pubblico e diventare destinazione di altre iniziative culturali. Quali sono, insomma, i tratti identificativi di A.A.? Ce lo ha spiegato il gruppo in questa intervista.

Il punto cardine di A.A. è quello di prediligere la periferia o la provincia come luogo d’azione, mettendo qui le radici per interventi artistici. Qual è la vostra visione?
Visitare e abitare artisticamente la provincia italiana vuol dire scegliere volontariamente di operare in un contesto spesso snobbato dal sistema ufficiale dell’arte, per noi fonte di autenticità, che si presta bene a una “evangelizzazione” del messaggio artistico contemporaneo. Detto questo, siamo più per il nomadismo che per la radicazione: ciò che ci interessa è lanciare un segnale che parte da questi nuovi hotspots culturali.

Luca Grossi

Luca Grossi

Questo statement vi porta ad essere un gruppo “nomade” che si sposta a ogni progetto, quindi.
Si, la ricerca di un luogo per noi non è mai fine a se stessa. Negli anni, lavorando separatamente, ci siamo mossi in diverse realtà, tessendo importanti legami umani ed artistici. Ci siamo uniti mentre eravamo gruppi singoli che viaggiavano. Il nostro nomadismo è da intendersi come meta-pensiero. Più che nello spazio, si muove nelle azioni.

Il vostro primo progetto si è aperto da poco, presso Ceprano – Frosinone, insediandovi addirittura in una Torre Medievale da tempo in disuso. Come è andato questo primo esperimento? In quale modo avete “attivato” questo luogo e la sua comunità?
In Liri Dynamis, nasce come incipit, scegliendo Ceprano e nello specifico la Torre Medievale (del 1200 ca.) come primo avamposto del progetto. Siamo soddisfatti dei feedback positivi ricevuti dalla comunità e dalle istituzioni locali, vedendo nella nostra pratica un modello sano da seguire e riproporre.

L’operazione ha comportato anche una preparazione burocratica, come la richiesta dei permessi e l’interfacciarsi con il Comune per ottenerli. È stata una parte di stimolo o di ostacolo?
Frutto del nostro percorso indipendente, sono tutte quelle skills trasversali che nel tempo ci hanno conferito affidabilità e credibilità agli occhi delle istituzioni. Grazie anche al dialogo, all’apertura e alla collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Ceprano, non abbiamo avuto nessuna criticità nello svolgere tutte le pratiche necessarie. È stato per noi motivo di stimolo, anche perché col nostro evento abbiamo inaugurato uno spazio restaurato portatore di storia e identità territoriale.

Come scegliete il luogo su cui operare? Cosa deve avere, insomma, per conquistarvi?
Empatizziamo molto con i luoghi e con le comunità. Più un luogo è mistico, anacronistico, conservatore e poco convenzionale, più ne siamo attratti. Il nostro è un percorso libero, e con questa libertà lasciamo che ci guidi dove meglio può vivere. 

Progetti futuri? Potete farci qualche anticipazione?
“Chi vuol essere lieto sia del doman non v’è certezza”. Il futuro è alla base della buona provvidenza. Crediamo fortemente nelle interazioni e nelle sinergie che si sono generate in questa occasione. Abbiamo voglia di dire, raccontare, ascoltare, generare, ma sappiamo che per poter diffondere e accogliere bene il messaggio ci vorrà tempo (unico vero giudice).

In conclusione, quali sono i “punti forti” del progetto A.A. che volete sottolineare?
Una peculiarità che vogliamo evidenziare è la buona volontà nell’affrontare e portare avanti un percorso all’interno di un sistema articolato nel quale, molto spesso, non ci riconosciamo a pieno. Forti delle nostre esperienze parallele e trasversali al mondo dell’arte, abbiamo imparato ad autosostenerci e a muoverci. Cooperiamo per un fine comune e questa è una grande risorsa in tempi di individualismi, egocentrismi e social-ismi. Ci auguriamo che queste intenzioni vengano accolte con l’apertura necessaria, affinché il progetto possa crescere, evolversi ed espandersi.

-Giulia Ronchi

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Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

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