L’artista Manlio Capaldi ricorda John Giorno e la loro collaborazione

L’incontro a un festival a Roma. Poi la collaborazione in Puglia e l’esperienza nel bunker di William Burroughs

Con la scomparsa di John Giorno si assottiglia ancora di più la pattuglia degli autori di origine italiana che hanno dato un contributo sostanziale all’avanguardia artistica e letteraria del secondo Novecento americano. Propedeutico fu il periodo da lui trascorso nella Factory e il rapporto con Warhol anche per il film Sleep, nel momento in cui erano in incubazione i nessi concettuali che porteranno poi alla nascita della Pop art.  Singolare, potente figura di poeta-artista e organizzatore ancora tutta da scoprire. Concepì la Giorno Poetry Systems come canale alternativo di edizioni collettive di audio e video di poesia e musica, e suo fu anche il pionieristico progetto di volontariato Aids Treatment Project volto all’assistenza degli artisti in solitudine, privi di ogni copertura assicurativa.

John Giorno e Manlio Capaldi, 1999 (cm 50x70)

John Giorno e Manlio Capaldi, 1999 (cm 50×70)

GIORNO E GLI STATI UNITI

È in una nazione che risente ancora della caccia alle streghe del maccartismo che Giorno avvia la propria militanza poetica, il proprio attivismo organizzativo. L’assalto è frontale nei confronti di quel supermarket America, come la chiamava Ginsberg, puritana e segregazionista nei confronti delle minoranze. “Just no say to family values ”, una delle sue prime celebri serigrafie. L’obiettivo è puntato contro l’ipocrita iconica-immagine realizzata da Norman Rockwell per la propaganda patriottica della Casa Bianca con la gioiosa famiglia rigorosamente white americans dinanzi al tacchino nel giorno del Ringraziamento. La stessa che, magari di notte in alcuni stati del sud, indossava i cappucci del Ku klux klan. Da ex operatore di Wall street conosce il sistema, come un virus vi scava dentro -language is a virus- dirà poi William Burroughs, suo futuro sodale. La sua scrittura poetica si mimetizza permutando forme e modalità del linguaggio del potere. Colori sgargianti e caratteri tipografici della pubblicità per aforismi e versi che assumono l’assertività degli slogan commerciali e della propaganda politica. Le performance a cui da vita hanno l’energia della rivolta. Potrebbe esserci un uso diverso dei mezzi di comunicazione ed ecco s’inventa The Dial Poem, chi vuole può comporre il numero e ascoltare: la poesia si socializza. Ma non vuol essere solo, non vuole scivolare in un discorso di potere e coinvolge altri poeti, sempre. Produce dischi, nastri audio e video invitando figure emergenti e poi Patty Smith e Laurie Anderson; crea connessioni con Glass, Cage o Mapplethorpe per le copertine.

John Giorno e Manlio Capaldi, grafite e acquerello su carta Fabriano, 2006 (cm 50x70)

John Giorno e Manlio Capaldi, grafite e acquerello su carta Fabriano, 2006 (cm 50×70)

UN RICORDO PERSONALE E LA COLLABORAZIONE

Lo conobbi a Roma dov’era per il festival internazionale di poesia di Castelporziano. Io tornavo dagli USA dove avevo registrato Allen Ginsberg e Peter Orlovsky per un documentario di Radio 3. Da autore e regista avevo già realizzato per lo stesso canale programmi sperimentali. L’approdo in Rai per me era avvenuto proprio grazie alla poesia performativa conosciuta nelle gallerie e happenings dell’allora Firenze città aperta post-alluvione dei primi anni 70. Molti anni dopo ebbi l’opportunità di farlo venire a Bari per una performance nel festival di musica Time Zones. Era il 1999, abbandonato l’uso della tecnologia, utilizzava adesso la respirazione circolare tibetana assumendo una postura più controllata. Non sapevo nulla delle sue origini Appulo-lucane. Ogni tanto tornava, faceva meditazione e calanchi e Castel del Monte erano l’ideale, diceva. Per quanto energico on stage, era molto mite nella normalità. Per lui, i veleni sul nostro cammino sarebbero stati cinque: desiderio, rabbia, ignoranza, gelosia, orgoglio. Era diventato ormai un’autorità spirituale e nei vari stadi verso l’illuminazione arte ed erotismo erano aspetti devozionali. Nel Vajrayana, ricordava, si diventa illuminati attraverso tutti i tuoi fenomeni. Ma non era mai facile per lui e anche nei confronti di una certa sfera tibetana era insofferente, sentiva l’insorgenza di un certo fondamentalismo di chiusura nei confronti dei Lgbt+. Coltivava il sogno di realizzare ad Aliano un centro culturale di ricerca per i giovani, avrebbe messo a disposizione il suo archivio di registrazioni e documenti. Ma nemmeno a Matera Capitale Europea della Cultura è interessato. Parlava di fine dell’età dell’oro della poesia e avvertiva che qualcosa si era rotto, persasi la complice continuità generazionale che considerava preziosa per la sopravvivenza dell’arte fuori dal sistema. Conosceva bene le storie di Levi e Sinisgalli, esuli e migranti anche loro, come pure Scotellaro a modo suo.

IL BRIGANTE A NEW YORK

Già dai tempi della Factory, fra eredi e membri di vecchie e nuove gangs si dichiarava “brigante a New York”. Erano esilaranti certi sui racconti come ad esempio quello sulle riprese del film Sleep, pensando ad Andy e alla sua rudimentale cinepresa con carica a molla che durava non più di dieci minuti per un film di oltre cinque ore, mentre lui dormiva veramente. In uno di questi andirivieni Marilena Bonomo ci propose di creare una raccolta di dittici a 4 mani, versi e aforismi disegnati da Giorno e miei inchiostri e acquerelli, per una mostra “Wordsdrawing” che si tenne nel 2006 nella sua galleria. Da quel momento in poi abbandonerà readings e performance per dedicarsi soprattutto alle mostre. Riscoprire gli strumenti tradizionali del disegno e della pittura ad acquerello lo aveva rapito mi confidò. Un altro punto di svolta, ancora un cambiamento. Non potrebbe sorprendere! La variazione gli era strutturale. Tutto in lui era subordinato ad un continuo divenire. Esattamente cosi come nell’intempestivo deleuziano che non determina il tempo sfuggendogli, erano invece più tempi a comunicare in lui. Divenire e velocità,per smarcarsi dalla strutturazione di ogni forma di potere. Nel 2011 a New York voleva fare del Bunker di Burroughs uno spazio espositivo, mi invitò a fare una mostra ma alla fine non ottenne i permessi a luogo pubblico e ne feci una residenza interna sul tema – un po’ scherzando anche con lui – “Lo spazio dimentica?”  una specie di indagine sul permanere nel luogo dello scomparso scrittore. (www.thebunkernyc.com) Qualche tempo dopo, con la sua solita ironica verve luciferina, intitolò una sua mostra invece “Space forget you” e forse ora se la starà ridendo.

-Manlio Capaldi

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Manlio Capaldi

Manlio Capaldi

Artista. Laureato in Filosofia. Artisticamente si è formato nella stamperia serigrafica fondata con un amico per realizzare i manifesti e volantini del movimento studentesco e operaio di Bari. A Bari, conosce Vettor Pisani, ha modo di incontrare gli artisti internazionali presentati…

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