Una tormentata ripetitività caratterizza la serie di opere di Thomas Bayrle (Berlino, 1937) in mostra a Sant’Andrea de Scaphis presso Gavin Brown’s Enterprise a Roma. Lo spazio, una chiesa sconsacrata che reca le tracce dei suoi successivi utilizzi, ospita una serie di riproduzioni realizzate dall’artista tedesco a partire dal celebre San Matteo e l’angelo ‒ dipinto da Caravaggio per la cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi nel 1602 –, nelle quali l’immagine del santo risulta sgranata, smembrata, un effetto che richiama i jpeg ‘pixelati’ di Thomas Ruff. È la sagoma dell’iPhone a costituirne il modulo generativo, in un processo di costante costruzione e decostruzione dell’immagine basato sul metodo tipicamente tardomodernista della serialità. Ne deriva la tensione tra originale e copie che produce quelle che Bayrle chiama superforme, costituite da conglomerati di immagini microscopiche.
Grazie a questo stratagemma compositivo l’artista accentua l’ossessione iconica dell’odierno paesaggio mediale, esponendone il potente effetto di alienazione.
‒ Lara Demori