Pensata come un dispositivo che richiama alla memoria una cartografia fisica, mentale e metaforica, la personale di Juan Uslé (Santander, 1954) da Alfonso Artiaco è un prezioso racconto che, per chi sa ascoltare le parole della pittura, sembra insinuarsi tra le fitte trame della letteratura di viaggio. Pedramala, infatti, non è soltanto il titolo della mostra, ma anche l’indicazione topografica di un luogo specifico caro all’artista che diventa esso stesso orizzonte riflessivo della pittura, superficie su cui disporre e increspare la massa cromatica. Segnata da quindici tele di diverse dimensioni (e tutte del 2018) che evidenziano un approccio sistematico, legato al processo pittorico, al suo farsi spazio sulla superficie, questa nuova personale di Uslé – già presente a Napoli nel 2013, con Victoria Civera – presenta l’articolarsi di una pennellata che è traccia, ricordo di un corpo a corpo tra l’artista e la tela, prolungamento dell’arto che si accinge a segnare e rigare, estroflessione del pensiero, battito che evidenzia il legame con la vita: “Non importa per quanto tempo lavoro, c’è un passaggio dal silenzio iniziale al suo riconoscimento fisico e l’esecuzione di un rituale che raggiunge un silenzio ancora più profondo, dove il tempo scompare”.
– Antonello Tolve