Un posto chiamato casa. Otto artisti a Verona

Studio la Città, Verona ‒ fino al 16 febbraio 2019. La collettiva veronese analizza il concetto di casa, innescando un dialogo tra il piano tangibile e quello metaforico. E assegnando a uno spazio intimo e privato una valenza universale.

Rifugio e luogo al quale tornare per antonomasia, la casa è il fil rouge che unisce le opere esposte nell’ambito della collettiva allestita presso la galleria Studio la Città di Verona, con la curatela di Marco Meneguzzo. Muovendosi sul limite fra spazio interno ed esterno, tra profondità e superficie, gli artisti che animano la mostra individuano nella casa un organismo pulsante, capace di rivelarsi all’occhio attraverso le tecniche più disparate ‒ dalla pittura all’installazione al video.

GLI ARTISTI

La “pelle” della casa, involucro poroso che protegge i suoi abitanti, diventa colore, carta e lino nei lavori pittorici di Brian Alfred, un mix di prospettive in cui la dialettica dentro/fuori si stempera nella geometria di una finestra o nelle cromie di un arcobaleno. Il formato resta simile, ma il punto di vista cambia, negli scatti di Vincenzo Castella, vedute interne di una casa a Pescara, tratteggiata nei suoi profili domestici e familiari, comuni a tutte le abitazioni, eppure caratteristici di una soltanto. La medesima sensazione riecheggia negli interventi di Alberto Garutti realizzati agli esordi degli Anni Novanta: pitture su carta da parati e tavola punteggiate da buchi, la cui disposizione complessiva evoca quella dei mobili nella casa d’infanzia dell’artista. Mappe familiari a chiunque, ma disegnate su uno spazio diverso da qualsiasi altro.
L’idea di delimitazione innerva anche l’opera di Daniel González: la sua Casa del Tiempo trasforma gli oggetti quotidiani in punti di confine, lungo perimetri variabili ma netti. Oggetti altrettanto familiari sono tradotti da Anna Galtarossa in conglomerati dal sapore quasi immaginifico: una sedia sdraio, dei giornali, delle canne di bambù e un carrello compongono un nuovo oggetto dalla valenza sorprendentemente domestica, al pari della Borsetta della nonna dalla quale fanno capolino fiori di stoffa, bigodini e paillette. L’attenzione alla superficie accomuna, invece, le opere di Tracey Snelling, Hema Upadhyay e Igor Eškinja. Se Snelling ricrea un grattacielo con legno, vernici e luci, invitando lo sguardo a scrutare cosa avviene oltre i vetri delle finestre ‒ fra piccoli video e volti retroilluminati ‒, Upadhyay capovolge nel vuoto una distesa di case che richiamano le baraccopoli di Mumbai, mentre Eškinja gioca con le logiche della percezione, aprendo una porta metaforica nel muro di una dimora solo in apparenza tridimensionale, appiattita fra le strisce di cartone incollate al muro.

Giorgio Vigna. Acque Astrali. Exhibition view at Studio la Città, Verona 2018. Photo Michele Alberto Sereni

Giorgio Vigna. Acque Astrali. Exhibition view at Studio la Città, Verona 2018. Photo Michele Alberto Sereni

GIORGIO VIGNA

Merita un cenno anche la personale di Giorgio Vigna (Verona, 1955) in mostra nella penultima stanza della galleria fino al 19 gennaio. Acque Astrali instaura un racconto visivo che combina elementi naturali ‒ acqua, fuoco, sabbia ‒ e gesto creativo, dando vita a spirali di inchiostro in espansione e a bolle di vetro accatastate sul pavimento. Agglomerati di bellezza sottile, in grado di rapire l’occhio e restituire una sensazione tattile, negata poi, nel suo attuarsi, dalla fragilità stessa dei materiali. Piccole incursioni nella materia, in linea con l’afflato di universale intimità che pervade la collettiva allestita nelle sale precedenti.

Arianna Testino

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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