Roy Lichtenstein e la Pop Art americana. A Parma

Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo ‒ fino al 9 dicembre 2018. Le opere di Roy Lichtenstein e degli altri protagonisti della Pop Art inondano di colori e réclame le sale dell’ottocentesca Villa dei Capolavori.

Roy Lichtenstein (New York 1923-1997) ebbe l’idea di convertire in icone le immagini simbolo del dilagare di un consumismo sfrenato, compiendo una mutazione dell’ordinario in straordinario. Insieme agli altri artisti pop, trasformò il concetto di opera d’arte rinnovandone i soggetti, in seguito identificati negli oggetti diffusi dalla cultura di massa. La ripetizione e l’uso della tecnica della serigrafia, ben presente nelle opere pop, fu quindi un chiaro riferimento alla produzione in serie tipica della realtà consumistica. In adeguamento ai cambiamenti sociali, avvenne lo stravolgimento del concetto di unicità delle opere trasformate in ready-made, in beni di consumo di larga diffusione. L’avvento della Pop Art costituì pertanto uno dei momenti decisivi nell’evoluzione della storia dell’arte novecentesca per la portata innovativa che la caratterizzava. Il cinema, il fumetto, i prodotti venduti nei supermercati comparirono sulle tele e sotto forma di sculture: come scrisse il critico newyorkese Max Klozloff: “Le gallerie sono invase dallo stile stupido e spregevole tipico delle gomme da masticare, che piace a ragazzine e delinquenti”. È proprio grazie a galleristi come Leo Castelli e alla sua capacità di comprendere il dilagare della nuova energia creativa che il mondo dell’arte conobbe la Pop Art e la sua estetica rivoluzionaria. Il nuovo movimento artistico portò con sé colori sfavillanti, esagerati, emblema di benessere in contrapposizione alla miseria dei conflitti bellici che avevano segnato la prima metà del secolo.

Robert Indiana, Four, 1965

Robert Indiana, Four, 1965

PERCEZIONE E APPROPRIAZIONE

Il linguaggio di Lichtenstein è principalmente caratterizzato dalla potenza comunicativa: utilizzò la ripresa del codice tipico del fumetto, rivisitò opere iconiche, dissacrandole. Dai fumetti trasse quindi ispirazione per i soggetti delle proprie opere: The Painting, incluso nella raccolta Strange Suspense Stories pubblicata nel 1964, riporta il gesto di una pennellata che cancella il soggetto ritratto in un quadro. “La pennellata da sola significa già pittura e arte”, scrisse. La rappresentazione di Lichtenstein rimanda a un gesto che lascia colore ancora gocciolante sulla tela, e che è citazione dell’Action Painting, ma lo paralizza: lo priva di plasticità e di espressività. Una buona parte della ricerca di Lichtenstein si concentrò infatti sulla percezione visiva della storia dell’arte e di opere sacre di autori come Monet, Picasso, Mondrian, Duchamp. L’artista se ne è appropriato, le ha riprodotte e congelate in colori piatti e campiture che riproducono i retini tipografici con l’uso dei Ben-Day, in riferimento alla riproduzione delle immagini sulla carta stampata. Le fotografie in mostra, scattate da Ugo Mulas e Aurelio Amendola, proiettano il ritratto dell’autore nelle proprie opere, nell’interazione con le proprie visioni.
Oltre ai lavori di Lichtenstein, in mostra quelli di Andy Warhol, James Rosenquist, Robert Indiana, Tom Wesselmann d altri autori che, attraverso le proprie opere, hanno segnato e disegnato un’epoca.

Anna Vittoria Zuliani

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