Babilonia. La Cagliari di Guy Tillim

Fondazione di Sardegna, Cagliari ‒ fino al 6 gennaio 2019. Secondo appuntamento nell’ambito del progetto di AR/S Arte Condivisa, che indaga il tema delle migrazioni. Dopo “Desert” di Leonardo Delogu è ora la volta di “Cagliari” di Guy Tillim.

I tunisini qui, a battere le stesse strade, e a sgomitare per gli spazi fra le viuzze, c’erano già. Sì, quelli scacciati come predoni e pirati e tornati come pescatori in equipaggi misti. Confusi tra siciliani, sardi e napoletani. Del resto, il colore della pelle era identico. Il sale, il sole e il vento hanno inscurito i loro volti con la stessa pennellata. Scrive Francesco Abate nella presentazione del progetto di Guy Tillim (Johannesburg, 1962), ricostruendo la città di Cagliari come un crocevia di popoli e culture nell’arco dei secoli: dai fenici ai romani, dai pisani agli spagnoli, dai piemontesi ai cinesi, dagli africani ai filippini. Perché se Nuoro è l’Atene sarda, Cagliari non può che essere Babilonia, a detta dello scrittore.

SGUARDI SULLA CITTÀ

Invitato per una residenza di due settimane a Cagliari dalla Fondazione di Sardegna in accordo con il curatore Marco Delogu, il pluripremiato fotografo sudafricano Guy Tillim, recentemente insignito anche dell’Henri Cartier-Bresson Award, indaga il fenomeno migratorio, il processo di integrazione e l’impatto sulla società attraverso ventuno scatti.
Uno sguardo sulla città e sui suoi abitanti scolpito da una luce non dissimile da quella della sua terra, che gli consente di estrapolare frammenti urbani dove, attraverso gesti quotidiani, si muovono residenti e migranti. Blocca scene di vita vissuta per le strade che parlano di accoglienza. Restituisce frame di una città pulsante dove cagliaritani, immigrati e turisti convivono senza soluzione di continuità. Uno spaccato delle vie e delle piazze del centro cittadino dove a mercatini improvvisati si susseguono fermate d’autobus affollate, tra gente che fa la spesa, chiacchiera e passeggia, o che aspetta al semaforo per attraversare la strada. Ognuno immerso nei propri pensieri, ognuno apparentemente ignaro di chi gli sta intorno. E dove ogni fotografia, oltre a essere concepita come singola immagine, può essere letta come un’unica lunga rappresentazione fotografica, scelta adottata anche per l’originale struttura del catalogo.

Guy Tillim. Cagliari. Exhibition view at Fondazione di Sardegna, Cagliari 2018. Photo Emanuela Meloni

Guy Tillim. Cagliari. Exhibition view at Fondazione di Sardegna, Cagliari 2018. Photo Emanuela Meloni

UN POPOLO ABITUATO ALLO “STRANIERO”

Immagini di medio e grande formato accuratamente composte e sapientemente allestite, capaci di catturare lo sguardo dello spettatore, invitano a scoprire l’identità del luogo. Stralci immediatamente riconoscibili di una città multiculturale, percorsa fin dalla notte dei tempi da genti provenienti da ogni parte del mondo. Un popolo abituato allo “straniero”: s’istrangiu, o s’istranzu, come lo definisce in nuorese Michela Murgia nel catalogo.
Istranzu è un termine bivalente in sardo. Vuol dire ospite ma anche straniero. Non però una cosa o l’altra: le significa sempre entrambe allo stesso tempo”. Uno straniero che ha imparato a parlare il sardo talvolta meglio dell’indigeno. O che nel suo italiano acquisito include un forte accento cagliaritano. Non si percepisce diversità tra le genti nelle fotografie di Guy Tillim, perché questa, oltre a non essere contemplata dal suo sguardo, è decisamente declinata anche dalla maggior parte dei cagliaritani. Non a caso conclude la Murgia: “Brilla invece una cruda similitudine sociale, quell’essere insieme possessori di poco o nulla che non preclude ad alcuna coscienza collettiva, eppure già determina un insieme da fuori riconoscibile”.

Roberta Vanali

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Roberta Vanali

Roberta Vanali

Roberta Vanali è critica e curatrice d’arte contemporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Cagliari. Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione collabora con Artribune, per la quale cura…

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