Colonne di sapone (di Aleppo). Mircea Cantor a Roma

Fondazione Giuliani, Roma ‒ fino al 16 dicembre 2017. Mircea Cantor torna a Roma con un progetto incentrato sul celeberrimo “sapone di Aleppo”. Cospicuo il numero di installazioni presentate, alcune delle quali imponenti. Gli spazi della Fondazione Giuliani si dimostrano adatti a un vocabolario museale.

Mostra personale ai limiti del museale per Mircea Cantor (Oradea,1977; vive a Parigi) alla Fondazione Giuliani. Spazi ampi, numero delle opere cospicuo, alcune delle quali imponenti. Per lo più si tratta di installazioni scultoree. A queste si aggiungono lavori di piccole dimensioni, in cui si ritrova lo stesso concept, in versione condensata. Fanno da contrappunto installazioni ambientali di contenuto differente, ma non del tutto off topic. Cuore del progetto l’intento di far dialogare i concetti di maceria e rovina con una matericità a essi antitetica: quella riferibile al celeberrimo “sapone di Aleppo”. Si tratta quindi di opere in cui viene inscenato l’accostamento di due campionari concettuali agli antipodi: da un lato fatiscenza e distruzione; dall’altro, invece, l’effimero e il piacevole: sia perché il sapone è immediatamente deperibile sia perché si lega ai concetti di cosmesi e rigenerazione; a idee, dunque, di vitalità, cura e vanitas. L’inversione-chiave è affidata al motivo architettonico della colonna tortile, che è di sapone, anziché di pietra – sicché la funzione che dovrebbe spettare al materiale duro e duraturo viene assunta da quello molle ed effimero; mentre è la pietra, al contrario, a collassare, a ridursi in frantumi.

Mircea Cantor. Your ruins are my flag. Fondazione Giuliani, Roma 2017

Mircea Cantor. Your ruins are my flag. Fondazione Giuliani, Roma 2017

UNO SGUARDO ALL’ATTUALITÀ

Le pareti tinte di azzurro di una sala costituiscono un riferimento poeticamente politico all’attualità, perché citano un museo della suddetta città mediorientale famosa – da secoli – per il suddetto sapone, ma devastata, oggi, dalla guerra. Il minimalismo per così dire astratto della mostra (il fatto che i protagonisti siano dei materiali) fa sì che i suoi passaggi più convincenti siano quelli meno teatrali e narrativi; quelli in cui l’occhio e i sensi possono soffermarsi più liberamente sulle qualità intrinseche dei materiali stessi, e dunque sul loro paradossale coesistere. In un lavoro tra i più riusciti, un’armatura per strutture in cemento armato spunta dal sapone opalescente e profumato con cui è stata realizzata una colonna. Al contrario, nelle installazioni meno binarie, più articolate – quelle in cui compaiono tappeti elastici per il jumping – la relazione che si instaura tra mucchi di calcinacci ed elementi architettonici in sapone tende a scadere in uno scenico di tenore fumettistico piuttosto improbabile. L’evocazione dell’attualità torna in altre due opere, con protagonisti, nell’una, bandiere stentoree ma rugginose e, nell’altra, un gran numero di piante in fiore in cui si insinuano come spire ritagli di quotidiani. Più improntata a una circolarità classicamente conceptual una video-installazione in cui dei bambini lavano le proprie mani col calco in sapone di una mano umana.

Pericle Guaglianone

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

Scopri di più