L’astrattismo umanista di Mario Nigro. A Lucca

Fondazione Ragghianti, Lucca ‒ fino al 7 gennaio 2018. Nel centenario della nascita, e a venticinque anni dalla scomparsa, Lucca celebra Mario Nigro con una mostra antologica che ripercorre l’intera carriera del pittore e chiude il ciclo sulla pittura italiana del secondo Novecento, avviato nel 2011 con Luigi Veronesi.

Una pittura astrattista impregnata di sensibilità civile e politica caratterizza la poetica artistica di Mario Nigro (Pistoia, 1917 ‒ Livorno, 1992); la sua ricerca su forma e colore ‒ che lo ha portato a essere uno dei più importanti esponenti dell’arte contemporanea italiana ‒, fu anche una riflessione sulla dinamiche sociali della sua epoca. Nigro non fu un artista lontano dalla società, in sintonia con Carlo Ludovico Ragghianti che ne apprezzava l’opera e che nel 1955 lo invitò a esporre a Firenze, alla Strozzina. Simbolicamente, la mostra riavvicina due personalità affini, che in vita furono unite da reciproca stima.

DAL NEOCUBISMO ALLO SPAZIO TOTALE

Nell’Italia ferita ma dinamica del dopoguerra, anche l’arte mostra segni di rinascita, con Lucio Fontana come capofila. Lo stesso Nigro, dopo i giovanili esordi nel figurativo (di stampo macchiaiolo, nella natia Livorno), si avvicinò, sul finire degli Anni Quaranta, all’astrattismo, sulla scorta del Neocubismo di matrice picassiana che si stava diffondendo anche in Toscana. La curiosità di Nigro per il nuovo clima artistico si evince anche dall’attenzione con cui seguiva colleghi quali Vinicio Berti, Bruno Brunetti e Gualtiero Nativi. Su questa china, il pittore livornese realizzò Forme spaziali, Composizione, e la serie dei senza titolo, dove una linea minimalista si posa su sfondi generalmente monocolore. La costruzione geometrica fu subito al centro della sua indagine pittorica, memore anche dell’esperienza di Klee e Kandinsky, ma sottende anche alla narrazione della profondità infinita dell’universo. La personale che tenne a Milano nel 1949 (Galleria Salto), sancì il suo ingresso nel Movimento Arte Concreta, prima tappa per lo sviluppo dello “Spazio Totale”. Un ciclo, questo, avviato a partire dai primi Anni Cinquanta, dove su sfondi di atmosfera espressionista si stendono reticoli geometrici dai molteplici punti di fuga, che creano una dinamico effetto di sovrapposizione. Metafora sottile delle relazioni umane nella società industriale del dopoguerra, assai più dinamiche e numerose (ma anche conflittuali) rispetto alla staticità dell’antica società rurale. A portare un tocco di poesia, l’ispirazione ai movimenti delle fughe di Bach. Un’unione di forma, concetto e colore, che meglio s’inquadra nel contesto artistico europeo di quegli anni, grazie al confronto che la mostra propone con la Cromografia magica (1944-46) di Max Bill, autore di riferimento per Nigro.

Mario Nigro, Spazio totale interruzione, 1954. Milano, collezione privata

Mario Nigro, Spazio totale interruzione, 1954. Milano, collezione privata

FRA METAFISICA DEL COLORE E POETICA DELLA LINEA

Attraverso il colore e la geometria delle forme, l’artista continuava la sua indagine sociale, dalla quale emergevano i contrasti di un’umanità che si andava rivelando sempre più conflittuale. La stessa Italia non faceva eccezione, e il boom economico si accompagnò a sperequazioni e tensioni in ambito sindacale, preludio dell’autunno caldo del 1969. E le tensioni reticolari, che anche nei titoli richiamano la lotta, sono rimandi alle lotte operaie, alle lotte politiche, al contrasto fra vecchie e nuove generazioni che si manifesta per la prima volta con accenti di autentica rottura.
Il leitmotiv della pittura di Nigro è ancora il reticolo grigliato, ma questa volta con elementi di rottura rispetto all’unità dello “spazio totale”, ad esempio la quadrettatura sfasata e l’introduzione di cromie fiammeggianti, che creano forti contrasti. Dalla fine degli Anni Sessanta Nigro si accostò all’arte installativa, utilizzando il colore come metafora dello scorrere del tempo, ispirandosi alle Stagioni di Vivaldi. Ma sviluppò anche una pittura assai più minimale, dove la linea su campo monocromatico diviene metafora di paesaggi e mitologie, specchio del radicalismo degli Anni Settanta.
Gli Anni Ottanta furono un decennio difficile, nonostante la patina di edonismo, che per l’Italia si aprì drammaticamente con il sisma in Irpinia, che ispirò appunto il ciclo Terremoto; una linea spezzata che suggerisce la faglia, ma anche l’incerto incedere della storia umana; L’orma dell’etrusco costituisce una riflessione sulla difficoltà dei tempi, velati di nostalgia per il passato e, come Pavese, anche Nigro sembra cercare nell’Età Antica un rifugio dalla violenza dei tempi.

Mario Nigro, Da i dipinti satanici lotta, 1989. Milano, Collezione privata

Mario Nigro, Da i dipinti satanici lotta, 1989. Milano, Collezione privata

IL RITORNO AL COLORE

L’ultima stagione dell’artista fu caratterizzata, in particolare, dai dipinti satanici, dove il colore torna con prepotenza e forza espressionistica sulla tela, rappresentando una sorta di “barriera di resistenza” contro le vicende storiche, non ultima la fatwa lanciata da Khomeini nei confronti dei Versetti satanici di Salman Rushdie. Un’arte, quella di Nigro, che fu strumento, come ebbe a dire, per “una ricerca estetica come struttura intima dell’uomo”; fra quelle linee e quei colori si ritrovano infatti le problematiche sociali italiane e non solo della storia recente, commentate con una sensibilità propria sia dell’artista sia dell’uomo, amareggiato e sinceramente allarmato dal dilagare della violenza e della distanza fra popoli e classi sociali.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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