Sara Enrico (Torino, 1979) riveste di tessuto sintetico, di lycra stampata con scansioni di frammenti grezzi di tela da pittura, alcuni solidi, disposti con cura istintiva, ma non trattenuta, a pavimento e a parete. Cilindri, parallelepipedi, forme piramidali che collegano, come vettori, le diverse direzioni di attraversamento della sede meneghina. Nonostante le forti luci al neon distorcano i contorni delle pieghe, rispetto agli orli, ai confini delle sculture, gonfiate dalla gommapiuma o imbevute nel cemento, lo sguardo separa, come per reazione chimica, volumi che pesano e corpi che si adagiano più leggeri. Questa divisione involontaria del guardare rende esasperatamente semplice procedere alla leggibilità della storia, della formazione dei materiali, delle loro estensioni e degli innesti che solo un percorso di visita coreografato dai lavori stessi rende possibile.
– Ginevra Bria