Cosenza ricucita. Intervista con Giovanni Gaggia

A luglio si è svolta una residenza d’artista a Cosenza. Perché a credere nel contemporaneo è spesso più la “provincia” che le grandi città. Abbiamo intervistato Giovanni Gaggia per farci raccontare il suo specifico progetto e le sue impressioni sulla realtà calabra.

Giovanni Gaggia (Pergola, 1977) è stato uno degli artisti che ha partecipato alla residenza organizzata dal Comune di Cosenza e da Alberto Dambruoso dei Martedì Critici nel luglio scorso.
Una residenza fuori dall’ordinario che prevede, ancora per il futuro, la partecipazione di un numero sempre più grande di artisti chiamati a lavorare, insieme ma divisi, in una città complessa, in un tessuto urbanistico sofferente ma all’interno di nuovissimi atelier sul lungofiume, con un design da rivista di architettura. Un luogo nel luogo, elemento confortevole e illuminato di notte, tanto da sembrare un fotomontaggio su uno sfondo cosentino indefinito e complesso. Un modo per accogliere quegli artisti, trattarli nel migliore dei modi perché lavorino bene in città, portando documenti contemporanei alla storia di Cosenza.
Un’operazione meritevole da parte del sindaco e del curatore, di chi, in un momento di sfiducia istituzionale nella cultura, crede che solo l’artista sia in grado di leggere e raccontare quello che altri non possono vedere, di andare nel profondo di ogni luogo, amarlo o odiarlo e farne un’opera nuova che porti ricchezza a quel posto.
Abbiamo parlato con Giovanni Gaggia, il quale ha operato con la cucitura, mentre la documentazione fotografica del suo lavoro è di un altro artista della residenza, Leonardo Aquilino.

Giovanni Gaggia, Konopèion - photo Leonardo Aquilino

Giovanni Gaggia, Konopèion – photo Leonardo Aquilino

Il tuo lavoro passa da una pratica artigianale artistica femminile: cuci per creare.
Ho iniziato a utilizzare ago e filo con Ali Squamose, azione performativa dove una donna cuciva tre cuori straziati dalla lama di un coltello. Non è stato un caso che abbia immediatamente pensato alla figura femminile per un gesto coraggioso come farsi carico di una sutura. Il cucire, che nella sua forma più poetica assume la forma del ricamo, è un costante richiamo all’accudimento, all’unire ciò che diversamente sarebbe separato. A me pare che questo semplice gesto, così tradizionalmente femminile, riassuma mirabilmente il profondo bisogno di darsi, di accogliere la vita in un grembo fecondo. In questo senso, quindi, lo si può sicuramente ritenere simbolo di costruzione nella sua accezione più elevata.
Utilizzo vari tessuti che possono essere lino, seta o cotone, dipende dall’idea da cui nasce l’opera e dall’effetto visivo che desidero ottenere. Nel caso di questo progetto utilizzo seta pura, un tessuto che trovo particolarmente indicato per la velatura e la delicatezza della trama.

A Cosenza hai chiamato una ricamatrice del posto…
Non ne ho chiamata una sola, ho contattato diverse signore del cosentino che hanno un legame con il ricamo e non solo, come Simonetta Portalupi, che è una restauratrice tessile. Per me è fondamentale immergermi nella storia e nella simbologia del tessile di questo luogo, senza tralasciare la parte più popolare.
Ho l’impressione che Cosenza sia una città velata ed è proprio per questo motivo che la mia azione si chiama Konopèion. Il conopeo è quel tessuto che copre, cela e protegge alla vista il tabernacolo. Attraverso la condivisione e la relazione, l’intento quindi è cercare di oltrepassare gli incastri delle trame per produrre un ricamo che sia quanto più possibile immagine e trasposizione del vero.

Giovanni Gaggia, Konopèion - photo Leonardo Aquilino

Giovanni Gaggia, Konopèion – photo Leonardo Aquilino

Lì sono ancora presenti tracce di altre culture, oggi straniere, ma parte della storia di quei luoghi.
Una parte del mio conopeo riguarderà, in effetti, anche la cultura arbëreshë; sono stato a ricamare a Frascineto per immergermi nell’atmosfera del luogo. Il paese ospita il Museo del Costume e del Tessile, che è suddiviso in due sezioni, una dedicata agli albanesi nel Sud d’Italia, l’altra a quelli d’Albania. Sento che questa terra è densa di un’energia che ancora non riesco a decodificare, la sensazione è quella di una terra ferita, di un luogo intriso di malinconia.
È anche per questo motivo che ho deciso di ricamare sul mio conopeo una frase tratta da La ginestra di Leopardi; la ginestra, il fiore gentile che profuma i luoghi tristi. Ricamando mi sento di curare ma al tempo stesso di ricevere la cura altrui. Un dare e ricevere continuo che si nutre di condivisione, un prendersi cura che assume una valenza molto ampia andando a toccare le corde più profonde dell’animo umano. A questo proposito, c’è una frase cui sono molto legato e che mi accompagna da quasi un anno: “l’arte non può cambiare il mondo ma le singole persone sì”. E il mondo è fatto di singole persone.

Che differenza c’è, per te, fra l’artista e l’artigiano?
La differenza risiede fondamentalmente nell’intenzione e nella motivazione. L’artista percepisce l’urgenza di un fare che non segue nessuna ragione legata alla funzionalità e alla contingenza del quotidiano. Il manufatto artigianale, per quanto esteticamente pregevole e ammirevole per difficoltà realizzativa, non possiederà mai quella tensione verso l’alto che porta l’opera d’arte a emozionare chi la osserva, suscitando a volte un fascino irresistibile senza ragioni apparenti.
A me piace utilizzare spesso la metafora della linea verticale, quella che innalza l’uomo verso le vette dell’anima, e la linea orizzontale, che costringe alla materialità delle cose terrene. Sono linee dal significato opposto, che possono dare immediatezza su cosa distingue l’arte da tutto ciò che è onesta produzione artigianale.

Clara Tosi Pamphili

www.giovannigaggia.it

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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