L’importanza della scoperta archeologica di San Casciano dei Bagni
Il clamore suscitato dai ritrovamenti di San Casciano dei Bagni dimostra che l’archeologia è una disciplina a impronta politica e sociale. Nel senso più ampio dei termini. Gabriella De Marco, docente del Dipartimento di Scienze Umanistiche all’Università di Palermo, spiega perché
Con piacere ho letto della decisione da parte di Artribune di dedicare più spazio alle scoperte recenti dell’archeologia. Una scelta opportuna, se non necessaria, considerato che l’archeologia “condiziona” sempre di più il ritmo della città e del paesaggio contemporaneo.
Basti pensare all’eccezionalità del contesto italiano caratterizzato, come è noto, da un tessuto urbano fatto di stratificazioni, di coesistenze, di ri-semantizzazioni dove il tempo della storia e il mito dell’antico s’intrecciano e coabitano con la vita moderna evidenziando, attraverso un sistema complesso di analogie, molti aspetti al centro del dibattito contemporaneo. Mi riferisco, in particolare, ai temi identitari, di genere e alle pulsioni inclusive e divisive che questi scatenano nella società. Categorie non univoche o neutrali, ma in grado di alimentare e accendere vere e proprie passioni. La memoria culturale, il ricordo, la fascinazione per quello che definiamo genericamente come mondo antico, unitamente allo studio, alla necessità di conservazione e tutela, coesistono con l’urbanistica contemporanea, con i flussi turistici, con le esigenze del cittadino e con molto altro.
Ancora una volta, dunque, la storia e l’archeologia si prestano, come del resto la scienza, a quello che è definito, sulla scia di Jürgen Habermas, come un uso pubblico.
Il passato, dunque, si riverbera nel presente divenendo un motore generatore volto a orientare scelte e progetti, anche, futuri e di cui dobbiamo essere tutti sempre più consapevoli.
LA SCOPERTA DI SAN CASCIANO DEI BAGNI
Da questo aspetto, a mio avviso fondamentale, prendo spunto per alcune riflessioni.
L’archeologia, e quel vasto ambito definito come storia della cultura materiale, fanno affiorare mediante lo scavo archeologico, che si ricordi è solo l’aspetto più eclatante di un lungo percorso di indagine, un ricco tessuto di emozioni personali e collettive da non sottovalutare. Al tempo stesso l’archeologia, con il fondamentale supporto di altre discipline, svelando l’invisibile, per citare liberamente il titolo di un convegno organizzato di recente dall’Università di Padova, sollecita, su diversi quanto qualificati fronti, un insieme di elaborazioni culturali, antropologiche, scientifiche, storiche, filologiche che mettono insieme saperi diversi. L’archeologia, inoltre, è materia che da tempo ragiona e traduce in concreto quell’avvincente alleanza tra ambiti di area umanistica e scientifica; ambiti oggi sempre più al centro dei modelli di formazione, anche universitaria. Saperi diversi che sottolineano come la storia non smetta mai di stupirci e lo conferma, semmai ce ne fosse bisogno, la notizia recente degli scavi condotti a San Casciano dei Bagni, in provincia di Siena. Quella che impropriamente definirò come scoperta archeologica, ormai protagonista di un vero e proprio, quanto meritato e condivisibile, successo mediatico, è nota al lettore e non starò dunque a ripercorrerla su queste pagine se non per brevi accenni utili al il mio ragionamento.
“La campagna di scavo di San Casciano dei Bagni (ma non è l’unico caso) conferma quanto sia riduttivo valutare la ricerca secondo i parametri della sola produttività”
Mi interessa, infatti, proporre, a partire da quella notizia, alcune riflessioni sulla ricerca di area umanistica. L’intuizione che qualcosa di importante si celasse nel sottosuolo di San Casciano dei Bagni e, in particolare, nell’area dell’antica vasca sacra e della sorgente termo-minerale di Bagno Grande, era, da quanto apprendo sulla stampa e sul web, nell’aria da tempo; ciò anche sulla base degli indizi che provenivano dalle fonti documentarie prodotte tra il XII e il XVII secolo. Si arriva, dunque, nel procedere degli studi, grazie alla compartecipazione non sempre scontata di attori diversi quali il comune, la regione Toscana, il MiC, l’Università per Stranieri di Siena, alla campagna di scavi del 2019, che portò a risultati in qualche modo disattesi, che a un pubblico di non addetti ai lavori o attratto solo dalla scoperta sensazionale sarebbero apparsi come deludenti.
Ciononostante, il gruppo di ricerca di cui è direttore di scavo Emanuele Mariotti e il responsabile scientifico e coordinatore del progetto, l’etruscologo Jacopo Tabolli dell’Università per Stranieri di Siena, decisero di procedere comunque con le ricerche. Ciò sulla base di una giusta prassi che vuole, come hanno fatto notare le due giovani ricercatrici Helga Maiorana e Irene Picchieri sulle colonne di Elle Decor il 21 novembre 2022, che lo studioso e, in particolare l’archeologo, debba evitare di anteporre l’interpretazione, o la convinzione personale, al dato stesso. Se è vero, come insegna l’indagine storiografica, che ogni età ha i propri parametri di selezione e di valutazione, bene ha fatto l’intera équipe a optare per una simile scelta, ovvero proseguire nell’indagine sul territorio. Una decisione temeraria eppure vincente, che ha fatto affiorare, ma ormai è storia nota, quello che a noi profani appare “come l’universo mondo”.
Una scelta preceduta lo scorso anno, come sottolinea Mariotti, dal ritrovamento di monete di bronzo e piccole statue e che incoraggiò la prosecuzione della campagna di scavo che ha portato ai risultati recenti quanto eclatanti che ormai conosciamo.
IL VALORE SOCIALE E FORMATIVO DELL’ARCHEOLOGIA
Ne consegue che la ricerca è fatta, anche quando si concentra sul contemporaneo, di indizi, di studio, di individuazione, di selezione e costruzione delle fonti ma è fatta, anche, di assunzione di responsabilità, di rischio, di apparenti fallimenti che, se ben strutturati, apportano risultati importanti. Varie volte sollecitata da questa interessante quanto significativa vicenda, mi sono chiesta, da cittadina e da studiosa, come sarebbero andate le cose se gli archeologi si fossero fermati di fronte a quello che il non specialista può considerare come un risultato deludente se non un vero e proprio insuccesso. I ritrovamenti di San Casciano dei Bagni attivano alcune considerazioni sul metodo, sulle finalità e sulle modalità di studio e di pratica delle discipline umanistiche. Riflessioni che in qualche modo coinvolgono, per evidenti ragioni, anche il mondo della politica. La campagna di scavo di San Casciano dei Bagni (ma non è l’unico caso) conferma quanto sia riduttivo valutare la ricerca secondo i parametri della sola produttività, perché studiare prevede, contempla, anche, la capacità di trarre frutto da quelli che possono essere considerati come risultati apparentemente insufficienti. Ciò non significa che il ricercatore, soprattutto quando amministra denaro pubblico, sia libero di procedere secondo modalità personali e al di fuori di un sistema fatto di regole, parametri, norme e rigore scientifico, ma vuol dire, semplicemente, che far ricerca richiede la capacità, pur all’interno di un sistema coerente e consolidato, di cambiare idea sulla base delle acquisizioni prodotte, di modificare il percorso, di aggiustare il tiro aprendosi a nuovi apporti e sollecitando nuove prospettive.
Un cantiere di scavo quale quello aperto nella provincia di Siena, che ha visto e che vede sessanta esperti provenienti da diverse aree del mondo con competenze specialistiche che spaziano dall’archeologia alla filologia, dalla numismatica all’archeobotanica, dall’architettura alla geologia, crea emozione al pari delle immagini delle sculture in bronzo che hanno fatto il giro del mondo, perché incarna, concretamente, la rappresentazione di una società e di un’economia basata sulla formazione, sulle competenze, sul lavoro qualificato e in regola e, soprattutto, perché esprime un’idea del territorio e del bene culturale non come spazio da vampirizzare.
L’IMPORTANZA DELLA RICERCA IN AMBITO ARCHEOLOGICO
Per far questo, per raggiungere questi obiettivi, la ricerca ha bisogno di finanziamenti continui quanto capillari e, forse, ha necessità di accedere a forme di contributo che prestino maggiore attenzione e sensibilità verso le intuizioni di chi la pratica. Spesso, infatti, gli studiosi e ancor più le giovani generazioni, come già osservava Maurizio Bettini (Dai Romani a noi. Conversazione con Francesca Prescendi e Daniele Morresi, il Mulino 2019), sono costretti ad allestire tavoli di lavoro che spesso non sono al centro dei loro interessi, con il rischio, sul fronte culturale, di disabituare allo studio di ciò che appassiona. Un’ occasione importante, quanto concreta, quella del cantiere di San Casciano dei Bagni, che invita a riflettere, grazie ai sorprendenti risultati ottenuti, sui pericoli intrinseci nella tendenza volta a subordinare la ricerca, la cultura e le istituzioni museali principalmente al valore e al ritorno economico.
Ciò in nome di una fraintesa idea neo-liberista incline a valutare e incoraggiare le scelte e i progetti modellati sull’impatto economico, sul flusso dei visitatori, sugli indici di influenza e non sulla convinzione che sia la cultura umanistica sia quella scientifica, come dimostra, ultimo ma non ultimo, l’ampio progetto di San Casciano dei Bagni, debbano necessariamente considerarsi espressione importante e straordinaria di per sé.
Gabriella De Marco
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