Quali sono le 5 migliori scoperte archeologiche degli ultimi mesi al mondo?

Italia, Egitto, Pakistan, Regno Unito e Turchia sono candidate all'ottavo International Archaeological Discovery Award dedicato all'archeologo che pagò con la vita la difesa di Palmira

La Borsa archeologica di Paestum ha annunciato le cinque scoperte archeologiche più importanti del 2021 che competeranno all’ottavo International Archaeological Discovery Award. Sono la stanza degli schiavi nella villa di Civita Giuliana a Pompei; la città fondata da Amenhotep III a Luxor, in Egitto; il tempio buddista urbano riemerso in Pakistan; il mosaico con scene dell’Iliade ritrovato nel Regno Unito; il santuario rupestre emerso nel sito turco di Karahantepe: sarà una di queste ad aggiudicarsi il primo posto del premio dedicato alla memoria Khaled al-Asaad, l’archeologo che pagò con la vita la difesa di Palmira. La vincitrice, ha annunciato il direttore e fondatore della Borsa Ugo Picarelli, sarà annunciata il prossimo 28 ottobre in occasione della XXIV Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, in programma a Paestum dal 27 al 30 ottobre, dove saranno anche conferiti un premio per i media partner e, per la prima volta, uno “Special Award” alla scoperta che avrà ricevuto più like tra luglio e settembre su Facebook. Vediamo da vicino le straordinarie scoperte in gara.

– Giulia Giaume

www.borsaturismoarcheologico.it/

LA CITTÀ DEL FARAONE AMENHOTEP III A LUXOR, IN EGITTO

Scoperta Egitto foto credit Egyptian Ministry of Tourism and Antiquities

Scoperta Egitto foto credit Egyptian Ministry of Tourism and Antiquities

Nella primavera dello scorso anno è emersa dalla sabbia del deserto, in ottime condizioni e con le mura quasi complete, la più grande città mai trovata in Egitto. Il team dell’archeologo ed ex ministro egiziano delle Antichità Zahi Hawass stava cercando il tempio funerario di Tutankhamon quando ha rinvenuto un nuovo sito vicino al palazzo del faraone Amenhotep III (1391-1353 aC), sul lato opposto del Nilo rispetto a Tebe, l’attuale Luxor. Stando alle iscrizioni geroglifiche, la città era chiamata Tjehen-Aten, o Aten (“abbagliante”) e fu fondata dal nonno di Tutankhamon, Amenhotep III. Acclamata come “città dell’oro perduto”, non era tecnicamente una città – che già esisteva nell’area, ed era Tebe –, non era perduta, dato che parti delle sue mura a zig zag erano già state scoperte negli anni Trenta da un gruppo di archeologi francesi, e non ha prodotto reperti d’oro: “La chiamano ‘d’oro’ perché fu fondata durante l’età d’oro dell’Egitto“, ha spiegato Hawass. Le sale conservano oggetti legati alla vita quotidiana come anelli preziosi, scarabei, vasi in ceramica colorata, mattoni di fango con i sigilli a cartiglio del faraone, oltre a iscrizioni geroglifiche sui tappi di argilla dei vasi da vino. È stata inoltre trovata una panetteria e un’area per la cottura e la preparazione dei cibi, con forni e stoviglie per la conservazione. Una seconda area, ancora in gran parte interrata, coincide con il quartiere amministrativo e residenziale, circoscritto dal muro a zig zag, mentre una terza area fungeva da officina, con un’area di produzione dei mattoni di fango (usati per costruire templi e annessi) e una con stampi da fonderia per la lavorazione di amuleti ed elementi decorativi. All’interno di una delle stanze sono state rinvenute due sepolture di una mucca o di un toro e, cosa sorprendente hanno detto gli archeologi, la sepoltura di una persona con le braccia tese ai lati e dei resti di una fune avvolta intorno alle ginocchia. A nord dell’insediamento è stato scoperto anche un grande cimitero con un gruppo di tombe di diverse dimensioni scavate nella roccia.

LA STANZA DEGLI SCHIAVI DI CIVITA GIULIANA A POMPEI

Scoperta Pompei foto credit Parco Archeologico di Pompei

Scoperta Pompei foto credit Parco Archeologico di Pompei

Nella villa suburbana di Civita Giuliana, a nord di Pompei, la stanza degli schiavi scoperta lo scorso novembre offre uno spaccato di una parte del mondo antico che normalmente rimane fuori dai libri di storia: la vita degli schiavi. L’eccezionale stato di conservazione dell’ambiente e la possibilità di realizzare calchi in gesso di letti e altri oggetti in materiali deperibili ha permesso la ricostruzione di un ritratto unico della loro quotidianità. Gli schiavi-stallieri abitavano in questa stanza disadorna, dove sono state ritrovate tre letti e una cassa di legno contenente oggetti di metallo e stoffa (probabilmente finimenti dei cavalli) oltre al timone di un carro, appoggiato su uno dei letti, di cui è stato realizzato un calco. Colpiscono la ristrettezza e la precarietà di questo ambiente – appena 16 mq –, oltre alle eccezionali condizioni di conservazione permesse dall’eruzione del 79 d.C. I letti sono costituiti da poche assi di legno rozzamente lavorate, assemblabili a seconda dell’altezza di chi le utilizzava: due sono lunghi circa 1 metro e 70 e un terzo solo 1,40 (forse di un bambino). Sotto le brande c’erano pochi oggetti personali, tra cui anfore poste a custodire beni privati, brocche di ceramica e un “vaso a camera”. La stanza, priva decorazioni alle pareti ed illuminata da una piccola finestra in alto, era probabilmente un dormitorio per un gruppo di schiavi, ma è anche possibile che si trattasse della sede di una piccola famiglia, vista la presenza del lettino. L’ambiente fungeva anche da ripostiglio, come testimoniano otto anfore stipate negli angoli.

IL TEMPIO BUDDISTA NELLA VALLE DELLO SWAT IN PAKISTAN

Scoperta Pakistan foto credit ISMEO

Scoperta Pakistan foto credit ISMEO

La scoperta di uno dei templi buddisti più antichi del mondo nell’antica città di Barikot, nella regione dello Swat, è il risultato dell’ultima campagna di scavo della Missione Italiana in Pakistan dell’Associazione Internazionale di Studi Mediterranei e dell’Oriente, sotto la direzione del professor Luca Maria Olivieri del Dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. L’antichissimo tempio buddista – datato intorno alla seconda metà del II secolo a.C. ma probabilmente ancora più antica (forse del periodo Maurya, III secolo a.C. – è considerato un reperto chiave perché rivela nuovi dettagli sull’organizzazione architettonica e la vita nella città antica, sui rapporti tra i sovrani greci dell’epoca e il buddismo, nonché sulla diffusione della religione nell’area. “Il ritrovamento di un grande monumento religioso fondato in età indogreca si riferisce certamente a un centro di culto e pellegrinaggio grande e antico“, ha spiegato Olivieri, sottolineando che “l’attribuzione a un’età così antica per il buddismo in questa regione è di enorme importanza“. Il tempio ritrovato – abbandonato all’inizio del IV secolo per via di un disastroso terremoto – ha una forma finora unica a podio absidale con cella circolare e stupa interno, con evidenti riferimenti all’influsso indiano. L’area a cui appartiene è a sua volta di grande valore storico e cultuarle: Barikot, conosciuta nelle fonti greche e latine come una delle città assediate da Alessandro Magno come Bazira o Vajrasthana, è stata un’area occupata ininterrottamente dalla protostoria (1700 a.C.) al XVI secolo, e oggi vanta oltre 10 metri di stratigrafia archeologica.

IL SANTUARIO RUPESTRE DI KARAHANTEPE IN TURCHIA

Scoperta Turchia foto credit Ministero della Cultura e del Turismo Repubblica di Turchia

Scoperta Turchia foto credit Ministero della Cultura e del Turismo Repubblica di Turchia

Il sito archeologico di Karahantepe, vicino all’area anatolica di Kargalı nelle montagne del Parco Nazionale dei Monti Tek Tek, è stato rinvenuto a circa 25 miglia a sud-est del più famoso sito di Göbeklitepe e sta gettando nuova luce sull’ingegno e la sorprendente creatività del popolo neolitico della Turchia sudorientale e dello sviluppo della religione organizzata nella civiltà umana. La scoperta del team dell’Università di Istanbul guidato dal professor Necmi Karulmostra un ambiente di 23 metri di diametro e 5,50 metri di profondità, accanto a cui emerge una scultura ben conservata di una testa umana che guarda a un secondo ambiente con 11 pilastri fallici. Si tratta probabilmente di un tempio sacro che affonda le radici in epoca preistorica e che potrebbe essere stato il cuore di un corteo di sacerdoti e possibili fedeli che si muoveva lungo una traiettoria che coinvolgeva altri templi della zona. Sono stati ritrovati all’interno dello spazio numerosi manufatti in pietra scolpita, molti dei quali ora esposti nel Museo Archeologico di Şanlıurfa, oltre ad almeno 250 monoliti e pilastri a T, incisioni e disegni in pietra. Come a Göbeklitepe, questo sito presenta molte rappresentazioni di esseri umani (quasi solo uomini) e animali, con la particolarità di questa testa umana tridimensionale connessa a un corpo serpentino che emerge a tratti dalla roccia. Più che un tempio unico, Karahantepe potrebbe essere un’intera città sacra completa di sistema idraulico: i grandi megaliti di cui è costruita, a differenza di quelli grezzi e spogli delle successive costruzioni europee, sono ricoperti da elaborate decorazioni e intagli che rappresentano principalmente la fauna locale un tempo presente nel sito. Dopo essere stato abitato per millenni, intorno all’8.000 a.C. il sito principale fu abbandonato in un arco di tempo relativamente breve volutamente seppellito per ragioni ancora sconosciute.

IL MOSAICO CON SCENE DELL’ILIADE RITROVATO NEL REGNO UNITO

Scoperta Regno Unito foto credit University of Leicester Archaeological Services

Scoperta Regno Unito foto credit University of Leicester Archaeological Services

Un grande mosaico romano, se pure in cattive condizioni, è stato scoperto l’anno scorso sotto i campi arati nella regione delle Midland orientali: si tratta del primo mosaico mai trovato in Inghilterra con scene dell’Iliade di Omero. Questo presumibilmente decorava un’ampia sala da pranzo all’interno di una villa romana risalente alla fine del III o all’inizio del IV secolo d.C. Lungo sette metri per undici e ora sotto la protezione ufficiale del governo su consiglio della Historic Buildings and Monuments Commission for England (nota come Historic England), il mosaico raffigura la scena dello scontro tra Ettore e Achille. La prima intuizione di questo tesoro risale al 2020, quando Jim Irvine, figlio del proprietario del terreno, si imbatté in frammenti di ceramica durante una passeggiata: guardando le immagini satellitari, notò un segno distinto nel raccolto e contattò gli archeologi del Leicestershire County Council. Dopo l’invio di un primo team di archeologi nell’agosto 2020, si sono aggiunti ulteriori lavori nel settembre 2021 con l’aiuto della School of Archaeology and Ancient History dell’Università di Leicester sotto la guida del professor John Thomas, vicedirettore dei servizi archeologici dell’università. Il reperto offre ad oggi nuove prospettive sugli usi e le tradizioni degli abitanti dell’epocae la loro conoscenza della letteratura classica, oltre che una serie di informazioni sulla (facoltosa) commissione del mosaico. Parte del sito non è stata ancora scavata, ma le indagini geofisiche hanno rivelato l’esistenza di un complesso di edifici con fienili a corridoio, strutture circolari, forse depositi di grano e un presunto bagno. Il lavoro prosegue anche con il contributo di David Neal, uno dei massimi esperti mondiali di mosaici romani.

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

Scopri di più