Se gli animali potessero giudicare. La mostra di Carlos Casas a Venezia 

La curatrice Filipa Ramos, che curerà come di consueto anche la film section di Art Basel, quest’anno sulla vita politica delle piante, racconta il progetto nato in seno alla promozione della cultura catalana nel mondo

Parte da La Disputa dell’Asino (1417) di Anselm Turmeda, testo fondamentale della letteratura catalana la mostra Bestiari di Carlos Casas (Barcellona, 1974) promossa dall’Institut Ramon Llull nell’ambito della 60. Biennale di Venezia, presso Docks Cantieri Cucchini, come evento collaterale e consueta promozione internazionale della cultura catalana. La mostra Bestiari in corso in Laguna prende le mosse da temi molto cari all’autore, tra ecologia e intelligenza della natura con opere immersive e che utilizzano le nuove tecnologie per portare lo spettatore ad una maggiore sensibilità su questi temi. Ne abbiamo parlato con la curatrice Filipa Ramos

Se gli animali potessero processare gli esseri umani, quale sarebbe l’esito del tribunale? Quali risposte ha trovato Carlos Casas partendo da “La disputa dell’asino” e quali visioni offre nella sua mostra a Venezia? 
La morale è una questione profondamente umana, non sono sicura che il nostro sistema di valori e principi di condotta si possa applicare al regno non umano; è quindi difficile speculare sull’esito di un tribunale degli animali. Una lezione continua di umiltà da imparare dagli animali è il fatto che non cercano costantemente di prendere il controllo del mondo, di impossessarsene, o di sfruttare altre specie a proprio vantaggio. Sì, molti organismi traggono vantaggio da altri ma hanno sistemi di sfruttamento complessi che non sono nemmeno lontanamente paragonabili ai nostri. 

Il testo da cui Carlos Casas è partito è in qualche modo rivoluzionario, essendo stato concepito nel medioevo. Gli esseri umani tendono a privare di sentimenti, intelligenza ed emozioni tutto ciò che desiderano soggiogare. Quali connessioni ha trovato l’artista tra questo testo, il mondo di oggi e l’urgenza ambientale che tutti noi stiamo affrontando? 
Carlos Casas ha trovato in Anselm Turmeda, l’autore di Disputa de l’Ase, una sensibilità ambientale unica, alla quale ha voluto rendere omaggio aggiornandola e riportandola nel contesto dei Parchi Naturali della Catalogna, terra natale dell’autore. Sebbene la sensibilità di Turmeda verso il mondo naturale sia notevole, non è unica né rara per la sua epoca. Anticamente le persone erano più vicine agli animali di quanto siamo noi oggi; quindi, avevano anche molte più opportunità di conoscerne caratteristiche e capacità. Secoli prima di Turmeda, il filosofo neoplatonico Porfirio di Tiro (c. 234 – c. 305 d.C.) formulò argomentazioni molto convincenti per il vegetarianismo nel suo libro Astinenza dagli animali, sostenendo che gli animali possiedono ragione e quindi diritti. Nel suo trattato sugli animali, Aristotele sostiene la necessità di osservare gli animali e la loro relazione con il mondo che li circonda. Turmeda segue una lunga linea di autori che hanno osservato, pensato e curato gli animali in modo profondo. 

Il progetto di Casas si collega al tema della Biennale d’Arte formulato da Adriano Pedrosa, allargando lo statuto di “straniero” al mondo naturale e animale… Come si colloca questo progetto all’interno della ricerca dell’artista? E nella tua pratica di curatrice? 
Negli ultimi 20 anni, Carlos ha realizzato film che dialogano con la tradizione artistica del cinema documentario, con opere che sono state mostrate in festival cinematografici, cineteche e musei in tutto il mondo. Ha anche creato opere sonore e ambienti che producono esperienze uditive uniche, generando incontri interculturali e cambiamenti. Da lungo tempo è interessato a comprendere il ruolo delle riverberazioni sonore nella conservazione ambientale e nelle minacce di estinzione della biodiversità, e nel catturare il modo in cui individui umani e non umani sono profondamente connessi. In tutto il suo lavoro, sia filmico, musicale che sonoro, persone e luoghi testimoniano forme di esistenza e coesistenza che sono allo stesso tempo molto comuni e radicali. Vediamo questo nel ritratto di tre persone che vivono nell’estrema solitudine della Terra del Fuoco, documentato in un film chiamato Solitude at the End of the World, o nella rappresentazione meticolosa dell’architettura del Cimitero di Montjuic, che fa parte del ciclo di opere Field Works e chiamato, e intitolato Montjuic #11 (2008). Oppure Avalanche, il ritratto degli ultimi abitanti del popolo Pamir.  

Un percorso di lunga data, quindi… 
Sì. Più vicino al progetto di Bestiari è Cemetery, film e installazione di grandi dimensioni. Qui ha rivisitato i viaggi e i cicli di morte e reincarnazione degli elefanti asiatici. Carlos ha anche realizzato Krakatoa 1883, una ricostruzione sonora dell’eruzione del vulcano Krakatoa in Indonesia nel 1883, un fenomeno che è stato fondamentale per lo sviluppo degli studi meteorologici e che ha profondamente influenzato il clima, anche in Europa. In relazione ai suoi lavori precedenti, Bestiari fa una esplorazione radicale dei fenomeni sonori, sulla linea di Krakatoa e Cemetery. Ma se questi lavori sono stati prodotti in relazione a geografie lontane, Bestiari li riporta più vicino alla sua terra natale, la Catalogna, in un modo unico. Qualcosa di abbastanza unico nella sua carriera artistica.  

Spiegaci meglio 
Se in molti altri lavori, erano le persone e la loro relazione con terre remote nel presente a diventare visibili, qui l’artista si sposta, si addentra, in un’esplorazione della relazione tra passato e futuro, cultura ancestrale ed esseri umani moderni, tra mondo conscio, sogno e connessione con l’universo animale.  

Come avete dialogato – artista e curatrice – nella realizzazione di questa mostra? 
Carlos ed io siamo amici da molti anni. Bestiari ci ha permesso di avere una relazione lavorativa più intensa. Abbiamo condiviso passioni, preoccupazioni, riferimenti e interessi canalizzandoli verso la realizzazione di questa installazione. Credo sia solo la continuazione di una lunga amicizia plasmata da prospettive e visioni comuni, in cui l’amore per la natura, per la musica, il suono, la fauna selvatica e il cinematografico si uniscono ancora una volta. 

Il tema dell’ambiente e degli ecosistemi è fondamentale se pensiamo alla Laguna di Venezia; inoltre, il tema dell’ecologia diventa ancora più urgente in una manifestazione importante e colossale come la Biennale di Venezia che movimenta ogni due anni cose e persone. Subito dopo la pandemia molte manifestazioni – e la Biennale stessa – istituzioni, gallerie, si sono chieste come lavorare per ridurre l’impatto del settore dell’arte sull’ambiente. Il confronto con la città e con le esigenze dell’evento ha in qualche modo generato in voi nuove riflessioni a riguardo? In che modo la tecnologia e l’arte possono intervenire positivamente sulle problematiche legate all’ambiente? 
Abbiamo deciso di non lasciare assolutamente nulla dopo la mostra di Venezia: nessun materiale, mobili, attrezzature… Altoparlanti ed equipaggiamento audio, che abbiamo portato via terra e non aria, saranno restituiti ai loro prestatori, senza lasciare residui materiali. Questa per noi è stata una decisione importante in termini di responsabilità verso la città di Venezia. Allo stesso modo, abbiamo deciso di non produrre tote bag, considerando l’enorme spreco d’acqua che richiedono: si tratta di oggetti ridondanti che trasformano i visitatori in pubblicità ambulante per il progetto. Il libretto che abbiamo pubblicato è stato interamente stampato su carta riciclata. Siamo stati il più possibile allineati al tema del progetto, un gesto che ha anche sfidato e messo in discussione l’istituzione che finanzia l’intero progetto. L’arte è uno strumento per conoscere e comprendere il mondo come qualsiasi altro, valido come quello della scienza o delle scienze umane; quindi le domande e le riflessioni che stiamo generando sullo stato attuale del mondo sono vitali per comprendere come possiamo andare avanti ed esistere in un modo più sostenibile ed equo. 

Dopo la Biennale curerai il programma di Film di Art Basel Basel e anche in questo caso l’ecologia sarà tra i temi urgenti che muovono il progetto. Qualche highlight? 
Curo la Film Section di Art Basel dal 2020, con un focus costante sull’ecologia, manifestato attraverso un programma continuativo intitolato Solastalgia. Quest’anno, il programma che apre la sezione si intitola The Political Life of Plants, ed è un’indagine sugli artisti che raccontano la vita vegetale attraverso immagini in movimento. Sabato ci sarà un programma interamente dedicato ai bambini, attraversato da animali e paesaggi di ogni tipo, invitandoli a ricordare l’amore e la cura per altre specie, e come questo amore comporti responsabilità. 

Santa Nastro 

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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