La rivoluzione dell’arte è solo un miraggio?

Secondo la teoria dei tachioni, gli effetti precedono le cause. Rapportata all’arte, implica che nulla di rivoluzionario possa essere creato. E allora come si fa?

Nel 1917 il fisico Richard C. Tolman denominò tachioni – dal greco tachis, veloce – quegli oggetti ipotetici aventi massa immaginaria e una velocità superiore a quella della luce. Mentre per gli oggetti di massa reale la velocità assoluta della luce costituisce il limite superiore e invalicabile, per i tachioni la luce costituisce il limite inferiore, che essi sarebbero capaci di oltrepassare. Secondo la teoria della relatività, oggetti di questo genere metterebbero in crisi la linearità cronologica, e potrebbero viaggiare a ritroso nel tempo.
Nel 1967 Martin Gardner, nell’articolo Can Time go backward?, propose l’idea di un telefono tachionico, in cui l’informazione sarebbe veicolata a una velocità iperluminosa. “Supponiamo che due persone, A e B, si telefonino attraverso questi tachioni: quando A riceve un messaggio da B, questi risponde immediatamente. B promette d’inviare un messaggio alle ore tre del suo tempo, se – e solo se – egli non avrà ricevuto un messaggio da A due ore prima. Ma i messaggi risalgono il tempo: se B invia il suo messaggio alle tre la risposta di A potrebbe pervenirgli due ore prima: dunque lo scambio di messaggi avrà luogo solo se non avrà luogo, e reciprocamente: il telefono è un ‘anti-telefono’ dove le risposte precedono le domande”.

“La caratteristica che accomuna la crisi pandemica, o l’inattesa ricrescita dell’inflazione, e persino i nuovi conflitti ‘stazionari’, è che, oltre a essere reali, sono anche mediali: l’informazione stessa ci fornisce delle risposte su quello che succederà (il ‘futuro’) contribuendo a crearlo”.

Si tratta naturalmente di un paradosso, ma fino a un certo punto. Se c’è un elemento che gli eventi attuali condividono, non è quello di essere catastrofici, distruttivi o anche semplicemente minacciosi. No: la caratteristica che accomuna la crisi pandemica, o l’inattesa ricrescita dell’inflazione, e persino i nuovi conflitti “stazionari”, è che, oltre a essere reali, sono anche mediali: l’informazione stessa, che dovrebbe semplicemente farci conoscere cosa sta succedendo nel “presente”, ci fornisce in effetti delle risposte su quello che succederà (il “futuro”) contribuendo a crearlo, retroagendo per così dire tachionicamente sul “passato”, deformandolo completamente. È un’idea che avevano compreso geni diversi come il René Clair di Accadde domani (1944) o il Borges di La lotteria di Babilonia (1941), anche se chi aveva testato sul campo questa dinamica era stato, anticipandoli entrambi, Orson Welles, con il re-enactment radiofonico de La guerra dei mondi (1938), che fu la classica “risposta che arriva prima della domanda” (e contribuisce a generarla).
È evidente che, di fronte a quello che già Jean Baudrillard definiva profeticamente un “universo cedevole e curvo”, ogni ingenuo tentativo di produrre un’arte direttamente “rivoluzionaria” è destinato al fallimento, non sul nascere, ma ancor prima di nascere – dato che ogni sovversione finirebbe per essere riassorbita dallo scenario che intende cambiare e che invece la ingloba(va) inesorabilmente come sua parte (come infatti sta regolarmente accadendo). E lo stesso si può sostenere per ogni tentativo politico che si richiami in qualunque modo al concetto di progresso: dato che una conseguenza della situazione tachionica è che gli effetti precedono le cause, anche in questo caso ogni “richiesta” di un cambiamento finirebbe col generare in “risposta” un controcollasso iperstazionario (come infatti sta regolarmente accadendo).

PARTIRE DAL PRESENTE PER COSTRUIRE IL DOMANI

E allora, direte voi, cosa mi vieni a proporre, caro il mio professore? Eh, “a sapertelo spiegare / che filosofo sarei”, vien da dire, citando i Baustelle. Comunque, tanto per cominciare, direi di provare a osservare meglio le risposte di cui già disponiamo, per capire che domande avevamo fatto e, soprattutto, che dovremmo fare. Ad esempio, nella foto di questa recente manifestazione si esprime la sacrosanta richiesta di potere del 99% della gente nei confronti delle élites globaliste – una “domanda” talmente giusta… che è stata formulata il 17 settembre di undici anni fa, nel 2011!
Ora, se si legge The Occupy Manifesto del 2011, alla luce di quanto successo nel 2022, ciò che impressiona non è il fatto che, di tutte le rivendicazioni chiaramente espresse, nemmeno una si è realizzata: no, la cosa davvero sconvolgente è che non solo sono rimaste inascoltate, ma che si è realizzato l’esatto contrario.
Non basterebbe questa riflessione a convincerci che, finché non ci saremo resi pienamente conto di questa inversione fra richiesta e risultato, nessuna autentica politica, e nessuna arte, sarà all’altezza della nostra condizione tachionica?

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #68

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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