L’artista-orafo Giampaolo Babetto in mostra a Venezia

Alla mostra di Giampaolo Babetto si arriva solo via acqua, e solo dopo aver attraversato le navate progettate da Andrea Palladio. Nel coro e nella sacrestia di San Giorgio Maggiore, a Venezia, le opere dell’artista orafo rivelano le loro connessioni con i movimenti artistici e con la liturgia cristiana

Oro e argento, geometrie e sagome sublimate dalle figure di Pontormo, ognuna con la sua presenza leggera o massiccia e con uno spazio vuoto da riempire mediante il significato dell’arte. Giampaolo Babetto (Padova, 1947) è un orafo dalla reputazione internazionale e le sue opere sono presenti in quarantadue musei in tutto il mondo. Nella casa atelier di Arquà Petrarca forza le tecniche del mestiere, reinventandole per tradurre le idee in gioielli, oggetti preziosi e sculture realizzati con materiali anche inusuali. Un esempio? La classica fusione in cera persa diventa “a ramo perso” quando l’elemento vegetale scompare per combustione e il suo posto viene occupato dal bronzo fuso.

Un'opera di Giampaolo Babetto

Un’opera di Giampaolo Babetto

L’ARTE DI GIAMPAOLO BABETTO

Difficile, di fronte a una personalità così sfaccettata, definire i confini tra alto artigianato e arte, e ne sono prova i disegni che introducono il percorso della mostra allestita negli spazi solenni della basilica di San Giorgio Maggiore: “Una parte di questi disegni sono degli Anni Settanta” – spiega l’artista mentre ci accompagna a scoprire qualcuno dei suoi segreti – “e alcuni sono preparatori per un oggetto che volevo realizzare, altri sono disegni autonomi”.
Sulla carta prevale l’informale, con un magistrale uso del colore, ma fa capolino anche la figura, come in uno schizzo di una mano che poi si ritrova, tramutata in oro, in una delle bacheche riservate ai gioielli. Se si vogliono seguire le tracce di alcuni movimenti artistici nel lavoro di Babetto, ai disegni astratti si accostano opere da parete evidentemente concettuali, come in un “dittico” in cui una superficie d’oro rivela la sua incorruttibilità mentre quella in argento pian piano si ossida a partire dai bordi. L’artista peraltro non disconosce il feeling con Lucio Fontana di fronte a spille, candelabri, modellini per grandi installazioni in cui il taglio diventa l’essenza dell’oggetto, sia esso singolo o doppio, a formare una croce.

Un'opera di Giampaolo Babetto

Un’opera di Giampaolo Babetto

BABETTO E LA COMMITTENZA ECCLESIASTICA

Il segno cristiano per eccellenza introduce un’ulteriore tematica: “Le committenze di arte sacra sono abbastanza recenti. Mi è stato infatti chiesto di realizzare una serie di oggetti liturgici per la chiesa di San Michele di Monaco di Baviera e per altri luoghi di culto e da allora rifletto sul valore spirituale dei calici, delle patene, degli ostensori”, racconta ancora Babetto. “Nel passato la Chiesa era la principale committente degli artisti, poi c’è stata una frattura. Negli ultimi anni però si sta riaccendendo l’attenzione degli ambienti religiosi verso l’arte contemporanea”. Ecco allora che il legame con il sito che ospita la mostra diventa cristallino.
Visitare un’esposizione insieme all’autore comporta un privilegio non da poco: quello di poter toccare. Babetto ci invita a spingere delicatamente la superficie di una grande coppa in lamina d’argento, che si piega docilmente per poi tornare alla forma originaria, una “magia” possibile grazie a una lunghissima lavorazione di battitura a martello che assottiglia il disco di metallo fino a dargli forma, conferendogli allo stesso tempo una flessibilità sorprendente. Oppure ci mette tra le mani una patena: “Senti il peso? È importante il peso”. O ancora possiamo sfiorare delle massicce fusioni in vetro con la loro superficie magmatica e traslucida, attraverso cui la luce filtra dando nuovo significato agli altari sopra cui si appoggiano. Sul retro dell’altare maggiore, invece, un’ulteriore scultura tondeggiante dialoga con il gruppo dei Quattro Evangelisti che sostengono il mondo e Dio e dietro, sul badalone del coro, un ramo ricoperto di foglia oro – l’albero di Jesse – è adagiato su una distesa di pigmento celeste: pare volerci indicare una via verso la spiritualità.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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