Ladri d’arte. Gli straordinari casi del Goya rapito e delle sei Gioconde

Il ritratto del Duca di Wellington, opera di Francisco de Goya, scompare dalla National Gallery di Londra e compare nella base della Spectre. Sei anonimi collezionisti statunitensi acquistano altrettante Monna Lisa “originali”. Vi raccontiamo furti e raggiri nel mondo dell'arte.

Chiunque abbia visto anche solo alcuni capitoli della saga cinematografica dedicata a James Bond è nell’oscura e potentissima organizzazione criminale nota come SPECTRE, acronimo che sta per SPecial Executive for Counter-intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion.
Ma cosa c’entrano l’agente 007 e la Spectre con l’arte? Ebbene, il primo film della serie, starring Sean Connery, uscito nel 1962 e intitolato Dr. No (in Italia Agente 007 ‒ Licenza di uccidere) mostra, nella principesca magione sottomarina del Dottor No, il dipinto di Goya Il Duca di Wellington in bella vista su un cavalletto.

IL FURTO DEL DIPINTO DI GOYA

Tutto ciò è ovviamente finzione, ma il furto del ritratto del Duca di Wellington avvenne davvero. La risonanza del caso fu tale che gli sceneggiatori del film lo integrarono nella scenografia. Bond vede il dipinto e lo osserva con disappunto, mentre Honey Ryder  (Ursula Andress), che cammina al suo fianco, non lo nota.
La straordinarietà e l’originalità del caso, uno dei primi artnapping della storia dei crimini – il rapimento/furto di opere d’arte al fine di ottenere un riscatto – sta nella sua aura romantica e nella sua bonaria conclusione, quasi si fosse a Sherwood e non a Londra negli Anni Sessanta.
Il dipinto Il Duca di Wellington fu realizzato da Goya, dal vero, a Madrid nel 1812. Arthur Wellesley, primo Duca di Wellington, avrebbe poi sconfitto Napoleone a Waterloo. Si tratta di un olio su tavola, formato 64,3 x 52,4 cm, acquistato dalla National Gallery nel 1961 per la rilevante cifra di 140mila sterline, di cui 100mila donate dalla Wolfson Foundation e 40mila dal Governo inglese. Il 2 agosto 1961 il dipinto, magnifico, fu esposto al pubblico. Diciannove giorni dopo, il 21 agosto, Kempton Bunton, un ex camionista di Newcastle upon Tyne, entra nel museo attraverso una scala posata sul traverso di una finestra di una toilette per uomini, lasciata aperta presumibilmente da un complice. Esce da dove è passato, con il Goya sotto il braccio.
Il dipinto sarà irreperibile per poco meno di quattro anni. Gli spettatori del primo film di 007 videro l’opera, che Scotland Yard stava cercando senza sosta, piazzata nella sala da pranzo del Dottor No.
Il 5 maggio 1965 viene recato al deposito bagagli della stazione di New Street, a Birmingham, un pacchetto, legato con grande cura, con la dicitura Handle with Care. Mr. Bloxham – così si presenta – paga la tariffa di sette scellini e ritira lo scontrino F-24458. L’involto in cartone, imbottito di trucioli di legno, rimane in deposito. Il 21 maggio il quotidiano Daily Mirror riceve una lettera, all’interno lo scontrino. Nel pacco c’era il Goya, senza cornice e in ottimo stato. Pochi giorni dopo torna in esposizione, vicino ai dipinti di artisti spagnoli, nella sala XVIII della National Gallery.
Kempton Bunton si costituì alla polizia e spiegò che il suo gesto aveva una natura politica: non avrebbetenuto il denaro per sé, ma lo avrebbe utilizzato per creare un fondo atto a pagare il canone della BBC alle persone anziane e indigenti. Bunton fu condannato a tre mesi di detenzione per il furto e la distruzione della cornice.

Francisco de Goya, Ritratto del Duca di Wellington, 1812, olio su tavola, cm 64,3x54,2. National Gallery, Londra

Francisco de Goya, Ritratto del Duca di Wellington, 1812, olio su tavola, cm 64,3×54,2. National Gallery, Londra

IL FURTO DELLA GIOCONDA

Il furto d’arte più noto di sempre, tuttavia, è quello della Gioconda, rubata da Vincenzo Peruggia al Louvre il 21 agosto del 1911.
Peruggia, un imbianchino nato in provincia di Varese, che aveva lavorato come vetraio al museo ed era al corrente delle misure di sicurezza, si nasconde in uno sgabuzzino con due complici dopo la chiusura domenicale. Lunedì, a museo chiuso, i tre, indossando camici bianchi, si mimetizzano tra gli addetti alle pulizie, tolgono la Monna Lisa dalla parete e si allontanano indisturbati da un’uscita secondaria.
Pablo Picasso e Guillaume Apollinaire furono sospettati del furto: interrogati, arrestati, processati e assolti. Il dipinto rimase disperso per due anni. Peruggia fu arrestato e narrò che il suo era stato un gesto patriottico, per riportare l’opera in Italia. In realtà, secondo l’ipotesi tracciata da Karl Decker negli Anni Trenta, il furto fu commissionato da Edoardo de Valifierno, un falsario argentino molto misterioso, noto come “El Marqués”. A Valifierno non interessava il dipinto di Leonardo, ma che si pensasse che lui poteva procurarselo.
Valifierno riuscì a vendere a sei diversi collezionisti degli Stati Uniti altrettante copie del dipinto, tutte vendute come l’originale e tutte eseguite da Yves Chaudron, a 300mila dollari ciascuna; attualizzando il valore del dollaro nel 1912, la cifra pagata per ciascuna copia sta attorno ai 7 milioni di dollari attuali (una nota replica della Gioconda, piuttosto brutta e probabilmente risalente al Seicento, la cosiddetta Mona Lisa Hekking, è stata venduta da Christie’s, nel giugno di quest’anno, per 2.900.000 euro).
Peruggia viene abbandonato a se stesso. Dopo due anni di silenzio del suo committente, lascia Parigi per Firenze e, tramite un gallerista, offre il Leonardo al direttore degli Uffizi. Il 12 dicembre del 1913, alla consegna del dipinto, viene arrestato. Subisce una condanna assai leggera e diviene una sorta di eroe patriottico. Tuttavia, la stessa esistenza di Valifierno e di Chaudron potrebbero essere una invenzione di Karl Decker, che pubblica questa storia nel 1932 sul Saturday Evening Post. Valifierno era morto e Decker ora poteva narrare la vicenda della Gioconda, così come l’aveva appresa da Valifierno stesso. Ancora una fiction come il Goya alla Spectre o una storia vera? Non lo sapremo mai.

Vincenzo Peruggia, il ladro della Gioconda

Vincenzo Peruggia, il ladro della Gioconda

ARTNAPPING IERI E OGGI

Oggi il cosiddetto artnapping è praticato da bande organizzate. I casi, almeno quelli noti, non sono trascurabili: Munch Museet, Oslo (una delle versioni dell’Urlo e altre opere di Munch); Collezione Bührle, Zurigo (Cézanne, van Gogh, Monet, Degas); Kunsthal Rotterdam (Lucien Freud, Matisse, Monet, Picasso); Sprengel Museum, Hannover (due Picasso); Museo d’Arte Moderna, Parigi (Picasso, Braque, Matisse); Museo Cantini, Marsiglia (Degas); Isabella Stewart Gardner Museum, Boston (Rembrandt, Vermeer, Degas, Manet); Schirn Kunsthalle, Francoforte (due Turner e un Friedrich)… Sculture millenarie vengono minate e distrutte, musei razziati, le opere vendute al mercato nero per finanziare il terrorismo internazionale. L’aura romantica del furto&riscatto di opere d’arte a fini caritatevoli o patriottici è scomparsa, per sempre.

Stefano Piantini

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Stefano Piantini

Stefano Piantini

Stefano Piantini (Venezia, 1956). Laureato alla Università Bocconi (1980). Editore Incaricato di Electa SpA, membro del CdA di Electa, Electa Umbria, Electa Napoli, Arnoldo Mondadori Arte, Membro del Comitato Direttivo del Gruppo Elemond (1982-1996) Assistente al Presidente del Touring Club…

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