La storia del Ponte di Bassano del Grappa. Da Palladio agli Alpini

Tutti lo chiamano Ponte degli Alpini, ma spesso ci si dimentica che il simbolo di Bassano del Grappa è stato costruito su un progetto di Andrea Palladio. Al termine di un lungo e complesso restauro, Bassano gli dedica una mostra che ne ripercorre le tormentate vicende.

Con tutti i soldi che sono stati spesi per restaurarlo [7 milioni di euro, N.d.R.], valeva la pena buttarlo giù e ricostruirlo di nuovo, perché di antico, su quel ponte, non c’è più niente”: è l’opinione dell’autista della corriera che ci trasporta attraversando incantevoli colline coperte di vigneti. Quello che avrebbe dovuto essere buttato giù è il Ponte degli Alpini, simbolo di Bassano del Grappa nonché opera architettonica e ingegneristica di Andrea Palladio, e il gentile autista ha ragione ad affermare che nemmeno un palo della struttura costruita all’epoca del celebre architetto rinascimentale è giunto fino a noi. Ma non è questo il punto: l’interesse del dialogo sta nel fatto che ogni qual volta che nel corso dei secoli si è intervenuti sulla struttura palladiana sono scoppiati dibattiti e aspre polemiche, e quella odierna non è certo una novità. Affonda le sue radici in epoca lontana: “Quel ponte ha sempre suscitato la passione dei bassanesi”, conferma lo storico dell’architettura Guido Beltramini.

IL PONTE DI BASSANO: DISASTRI E RICOSTRUZIONI

Lo conferma la mostra in corso al Museo Civico, nella quale uno spazio consistente è dedicato alle tante trasformazioni del ponte, “sempre uguali eppure sempre diverse dall’immagine palladiana, pietra di paragone in nome della quale si sono combattute vere e proprie guerre, intellettuali ma anche imprenditoriali”, scrivono i curatori. Ripercorrendone brevemente la storia, il ponte viene citato per la prima volta nel 1209; nel Quattrocento risulta fortificato ma, tra il Brenta che ogni tanto se lo porta via con una delle sue piene e gli eserciti che lo distruggono o lo incendiano, si giunge al 30 ottobre 1567.
Il fiume di nuovo lo travolge e Venezia, che allora governa Bassano, affida il progetto a Palladio, il quale lo vorrebbe ricostruito in pietra. Niente da fare, la Serenissima e l’architetto si devono piegare alla volontà dei bassanesi, e la scelta ricade ancora una volta sul legno come materiale d’elezione. Così fatto – e in mostra sono molto chiari sia gli aspetti progettuali, sia la classicità e l’originalità del modello di Palladio – resiste fino al 1748, quando viene “portato via come una cesta di vimini” dall’impeto delle acque. Ed ecco che la ricostruzione di Bartolomeo Ferracina è non solo interessante dal punto di vista tecnico, ma assai intrigante per le polemiche che scatena: i documenti originali dell’epoca riportano parole di fuoco da parte degli “avversari”, trascritte – non senza ironia – anche sulle pareti del museo. Al confronto, la critica del nostro autista è davvero all’acqua di rose.

Roberto Roberti, Il Ponte di Bassano, 1807, Museo Civico, Bassano del Grappa

Roberto Roberti, Il Ponte di Bassano, 1807, Museo Civico, Bassano del Grappa

IL PONTE E LE ARTI

Solo modelli, documenti e progetti? No, in mostra c’è ben altro. I curatori hanno scelto prima di tutto di dedicare un’introduzione al tema dei ponti di Palladio, di cui si possono analizzare splendidi disegni autografi (“ponti di carta tramandati nei ‘Quattro Libri’”, li definisce Beltramini, e sono quelli che hanno avuto il maggiore impatto sulla successiva cultura figurativa). Poi, del Ponte degli Alpini – l’ultima ricostruzione del 1948, infatti, si deve alla volontà e alla fatica di quel corpo militare – si snocciolano le testimonianze iconografiche, e infine l’ultima sezione mette a fuoco un universo reale e immaginario, quello dei dipinti di Canaletto, Bellotto, Piranesi e Guardi che, nelle loro tele e incisioni, compongono vedute veneziane “palladianizzate”, dove gli edifici costruiti o solo progettati da Palladio, come il ponte di Rialto, si uniscono in una sorta di “capriccio”, di sogno classicheggiante. “Questi artisti hanno riacceso la fiamma della passione per il grande architetto alimentando la diffusione del suo mito nel mondo moderno”, concludono i curatori.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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