Da Andy Warhol a Pino Daniele: l’arte-simbolo del terremoto a Napoli nel 1980

Il 23 novembre 1980 anche Napoli subì i danni del tragico terremoto che colpì l’Irpinia. In questo racconto una sintesi degli eventi e delle reazioni da parte del mondo dell’arte.

Alcuni eventi creano delle fratture così profonde che diventano degli spartiacque della storia, in cui c’è un prima che è già nostalgia dei vecchi tempi e un dopo in cui nulla sarà uguale a sé stesso. Il terremoto del 23 novembre 1980 è sicuramente uno di questi per la città di Napoli e i napoletani.

IL TERREMOTO DEL 1980 A NAPOLI

Erano da poco passate le 19.30, quando la terra iniziò a tremare. Novanta secondi. Un interminabile minuto e mezzo, in cui si sovrappongono concitati movimenti ondulatori e sussultori: la terra prima trema e poi sembra letteralmente sparire da sotto i piedi.
Chi può si riversa subito in strada, temendo che la casa gli crolli sulla testa, e anche all’aperto la paura è tanta da temere che persino il cielo voglia venir giù, tra le grida della gente spaventata e le polveri dei vecchi palazzi in tufo che sfrigolano.
Non ci sono gli smartphone, i social, non c’è Twitter su cui lanciare l’hashtag #terremoto, né la possibilità di chiedere immediatamente soccorsi o darne notizia. Bisogna correre dai propri familiari, alle proprie abitazioni per assicurarsi che tutto sia a posto. I primi notiziari parleranno soltanto di “scossa di terremoto in Campania”, una prima stima dei danni e dei morti si avrà solo intorno alla mezzanotte, quando si apprenderà dei primi crolli a Poggioreale. Saranno 3000 i morti, 8000 i feriti, quasi 300.000 gli sfollati, quelli che, ritornata la calma, resteranno senza casa.
Le immagini fanno in breve tempo il giro del mondo, generando una catena di solidarietà che, dall’Arabia Saudita agli Stati Uniti, dalla Francia all’Algeria, raccoglierà milioni di dollari e uomini per i soccorsi più immediati.

Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio, Capodimonte, Napoli. I danni a causa del terremoto del 1980

Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio, Capodimonte, Napoli. I danni a causa del terremoto del 1980

LE REAZIONI DELL’ARTE, DA LUCIO AMELIO A WARHOL

Anche il mondo dell’arte non è, né poteva essere, insensibile al grido di una città dolente. Lucio Amelio, noto gallerista napoletano, realizzerà qualche anno più tardi la rassegna Terrae Motus: settanta opere sul tema del sisma. Tra gli artisti, vi prenderanno parte Keith Haring e Andy Warhol, che farà del titolo della prima pagina de Il Mattino, FATE PRESTO, grido d’aiuto per salvare chi era sotto le macerie, un iconico manifesto.
Nata come esposizione temporanea, per la Reggia di Caserta, la mostra è oggi parte della permanente d’arte contemporanea visibile all’interno dell’edificio borbonico.
Nel 1981 anche la regista Lina Wertmüller girerà il documentario È una domenica sera di novembre. Anche il mondo della musica vuole raccontare questa tragedia, ed è da una delle voci più amate dal popolo napoletano, Pino Daniele, che arriva È sempre sera, ma saranno tante le produzioni teatrali e cinematografiche che parleranno o faranno riferimento a questo evento che ha segnato la vita di Napoli e di molti dei suoi figli. Ultimo, solo in ordine cronologico, L’Immortale, spin-off cinematografico della serie Gomorra, diretto da Marco D’Amore, il cui protagonista, Ciro, perde famiglia e affetti proprio quella sera di novembre di quarant’anni fa.

LA STATUA DELLA MADONNA DI CAPODIMONTE

Immagine-simbolo di questa immane tragedia sarà la colossale statua della Madonna che sormontava la facciata della Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio sulla collina di Capodimonte, nota anche come la Piccola San Pietro, per la somiglianza con la ben più nota basilica papale romana. La statua cadrà sui gradini della chiesa. I racconti popolari postumi, in un misto di leggenda metropolitana e credo religioso, diranno che la statua sia caduta in piedi; in realtà, come testimoniano le fotografie, si romperà in tre parti che, forse davvero per miracolo, non feriranno nessuno, né le auto in carreggiata né tantomeno i passanti spaventati in strada.
Ricomposta solo in parte qualche tempo dopo, l’imponente scultura resterà sul sagrato fino al giugno del 1983, come “continua testimonianza di amore e pietà mariana”, dice oggi una lapide posta a ricordo di quel momento, fino a quando, si legge ancora, riconsolidata la facciata, “è stata ricollocata al suo posto in alto, vigile protettrice alle soglie della città”. E la città, la Madonna, l’ha effettivamente vegliata: Napoli è ferita, non dimentica quel giorno in cui è morta, ma, grazie alla forza del suo popolo, alla fede e all’arte, si è rialzata dalle sue macerie, per risorgere miracolosamente nella bellezza.

‒ Mariano Cervone

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