Ulisse, eroe eterno. In mostra a Forlì

Dopo il lungo lockdown i Musei San Domenico di Forlì hanno riaperto i battenti della mostra che celebra Ulisse, prorogata fino al 31 ottobre. La rassegna è grandiosa, come la vicenda che racconta: quella di Ulisse, l'eroe che attraverso le espressioni artistiche ha navigato i mari e i millenni diventando l'emblema dell'esperienza umana, dell'ingegno, della conoscenza.

Il relitto della più antica nave greca solca la navata della chiesa di San Giacomo. Su quell’imponente vascello possiamo immaginare Ulisse con i suoi marinai, e la superficie specchiante del basamento evoca il Mediterraneo, percorso in lungo e in largo da un personaggio che incarna il simbolo del viaggiatore. Ed è subito suggestione fortissima, enfatizzata dagli antichi dei che assistono alle imprese del più celebre mito della Grecia antica: vi sono Ares, Atena, Afrodite, che, secondo la narrazione di Omero, si riunirono in un concilio durante il quale Atena implorò Zeus di far tornare Ulisse, disperso. A Forlì il Pantheon divino si manifesta sotto forma di sculture greche e romane disposte nelle cappelle dell’ex luogo di culto, mentre nella controfacciata la stessa riunione degli dei è interpretata da Rubens, e nell’abside compare uno slanciato cavallo di Mimmo Paladino, “quel” cavallo, che consentì di sconfiggere Troia ai greci guidati da Odisseo e a lui di conquistare l’immortalità del mito.
Ma questa è solo la prima sezione di una vastissima mostra che indaga la figura di Ulisse, o meglio di come le espressioni artistiche di ogni epoca – dall’era precristiana ai nostri giorni – hanno interpretato l’eroe e gli episodi del racconto omerico che più hanno colpito l’immaginario di pittori, scultori, minatori, ceramisti. Ecco allora che nelle sale dedicate all’Antichità si svolgono le storie più amate: dal canto delle sirene – allora raffigurate come donne-uccello – a Circe, da Polifemo alla discesa agli Inferi. E a proposito di Inferi, non si trascura il ruolo avuto da Dante nella resa di un Ulisse inedito: non più figura ambigua, distruttore di Troia, signore degli inganni e dell’arte della parola, ma “viandante spinto dall’ardore ‘a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore’”, che “si lancia ‘per altro mare aperto’, verso il ‘folle volo’”, dichiara Gianfranco Brunelli, che in merito al XXVI canto dell’Inferno sottolinea come, per Dante, il viaggio di Ulisse rappresenti “il rapporto tra Grazia e Natura, il riconoscimento del limite naturale”. E i destini del poeta e del mito si incontrano e si sovrappongono in celebri versi tesi a esaltare il primato della conoscenza.

Ulisse, I sec. d.C., marmo. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale

Ulisse, I sec. d.C., marmo. Sperlonga, Museo Archeologico Nazionale

L’ARTE ISPIRATA A ULISSE

Di tanto in tanto nel percorso del San Domenico si accendono dei focus attorno a capolavori che fanno parte della nostra memoria collettiva, come il dialogo tra il calco di fine XVIII secolo del Laocoonte dei Vaticani e la copia realizzata da Vincenzo de’ Rossi nel 1570 o ancora, al piano superiore dove è dislocata l’arte moderna, una concentrazione di sirene (ancora loro), da quelle gioiose dell”800 all’amplesso fra Tritone e Nereide di Max Klinger, fino alla sirena preraffaellita con chioma ramata e coda scintillante di John William Waterhouse: come non incantarsi – noi, contemporanei! – davanti a quelle figure mute ma che, grazie alla raffinatezza con cui i loro autori le hanno dipinte, possono ancora far perdere il senno a chi le guarda?
Le opere sono tante, e ognuna di esse innesca rimandi, connessioni, suggestioni che da tremila anni percorrono la cultura occidentale. E nemmeno nel Novecento, il secolo della modernità e della tecnica, Ulisse viene meno al suo ruolo simbolico, trasformandosi in metafora delle inquietudini esistenziali e artistiche; si pensi al romanzo di Joyce, pubblicato nel 1922. In chiusura, nelle mostre di Forlì sempre a effetto, ci si trova di fronte a La Musa metafisica di Carlo Carrà, Le Muse inquietanti di Giorgio de Chirico, La Solitudine di Mario Sironi, Ulisse di Arturo Martini con le sue braccia protese al cielo, forse per rivolgersi agli dei e poi lui, quell’Odisseo di Sperlonga, copia romana di un originale ellenistico, il cui “sguardo che emerge potente dalle orbite incavate e la bocca socchiusa appaiono come un’invocazione tremendamente attuale verso un recupero del senso della vita in un momento in cui sembra irrimediabilmente smarrito”. Dopo questo lungo viaggio, al visitatore, raggiunta una sua personale Itaca in uno stato di stordimento ed esaltazione, non rimane che riallacciare i legami della sua vita quotidiana, senza mai dimenticare di “seguir virtute e canoscenza”.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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