Quando l’Europa si innamorò del Giappone

Palazzo Roverella, Rovigo – fino al 26 gennaio 2020. Una febbre proveniente da lontano si è diffusa in mezza Italia, contagiando Rovigo e altre città. È una febbre che ha fatto la sua comparsa in Europa nell’Ottocento, poco dopo l’apertura dei porti giapponesi alle navi occidentali. Una mostra dal taglio “enciclopedico” racconta di come e quanto gli artisti europei vennero conquistati dalle opere dei colleghi nipponici.

Nel 1853, dopo ben due secoli di volontario isolamento, il Sol Levante si offriva in tutto il suo fascino misterioso all’Europa, e l’arrivo di manufatti prima a Parigi e poi in tutto il Vecchio Continente favorì la nascita del fenomeno definito “Giapponismo”, che perdurò almeno fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Innestandosi su un precedente gusto per le “cineserie”, dapprima si limitò all’inserimento di elementi orientali nei dipinti tradizionali, per poi giungere a modificare radicalmente gli stili “modernisti” i quali, grazie all’assimilazione dell’arte nipponica, virarono verso la scelta di forme più sintetiche, di colori piatti, di pattern floreali e motivi di natura fitomorfica. A tutto ciò è dedicata la mostra di Rovigo – ma, per una coincidenza casuale, in queste settimane si sono inaugurate altre esposizioni che trattano temi analoghi, seppur con prospettive diverse –, che secondo gli intenti del curatore Francesco Parisi vuole porsi come una mappatura completa delle profonde e capillari influenze che ebbe l’arte giapponese sui contesti artistici europei.

L’ALLESTIMENTO

Quattro le sezioni principali, organizzate secondo un ordine geografico e cronologico: dalla Francia – primo Paese ad accogliere le suggestive novità giunte da lontano e che si diffusero subito nei vicini Belgio e Olanda – all’Inghilterra, e poi dall’Austria (con Germania, Boemia e Moravia, e in questo gruppo di artisti spicca Emil Orlik) e all’Italia, che recepì l’arte giapponese solo agli inizi del nuovo secolo e soprattutto per opera di artisti italiani residenti a Parigi, in primis Giuseppe De Nittis. Il percorso tra dipinti, ceramiche, ventagli, tessuti, disegni, manifesti, vuole inoltre ricollegarsi ai canali che più contribuirono all’affermarsi del Giapponismo: le Esposizioni Universali furono strumenti straordinari che misero in comunicazione i due mondi, dalla prima allestita a Londra nel 1862, e poi quelle parigine del 1867 e 1878, fino alla mostra celebrativa dei cinquant’anni dell’Unità d’Italia del 1911. Proprio la grande quantità di oggetti esposti nelle sale di Palazzo Roverella a Rovigo (circa 250 pezzi, molti dei quali provenienti da collezioni private e da musei periferici, e questo è uno dei pregi che contraddistingue la meticolosa ricerca del curatore) restituisce quella mania collettiva diffusa non solo tra i pittori (basti citare qui van Gogh o i pittori Nabis) ma anche tra architetti, ceramisti, decoratori.

Carl Moser, Pavone con quattro ciliegie, olio su tela, 1929

Carl Moser, Pavone con quattro ciliegie, olio su tela, 1929

FOCUS E CHICCHE

Non mancano nel percorso espositivo alcuni focus utili a meglio delineare la portata del Giapponismo. Al Paese d’origine – e non si dimentichi che la relazione fu a doppio senso, anche in Giappone gli artisti subirono l’influenza dell’Occidente – è dedicata una sezione curata da Rossella Menegazzo che raccoglie preziose stampe in stile ukiyo-e, libri illustrati, lacche decorate i cui motivi consentono di instaurare parallelismi immediati con le opere esposte nelle sezioni “europee”. Anna Villari approfondisce invece la storia dello stile orientale nel design e nella produzione dei manifesti (citiamo Toulouse-Lautrec, che si firmava con un monogramma derivato da una stampa “smunga” e che amava indossare kimono), mentre alcune vetrine documentano il settore della grafica e dell’illustrazione libraria. L’impostazione enciclopedica della mostra oscura tuttavia alcune “chicche” che nella vasta esposizione rischiano di passare inosservate: come l’iconica stampa dell’Onda di Hokusai, da decenni proposta “in tutte le salse”, e che a Rovigo è presentata nella sua prima, rara edizione del 1831 (il prestito proviene dal Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova, che come il Museo d’Arte Orientale di Venezia si è costituito proprio grazie alle raccolte di un collezionista).

Marta Santacatterina

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

Scopri di più