Damien Hirst e gli squali su ruote. L’editoriale di Marco Senaldi

Il celeberrimo squalo in formaldeide di Damien Hirst ha ispirato non pochi interventi, polemici e non rispetto all’opera dell’artista britannico. Ma che significato ha davvero questa installazione al confine tra morte e vita?

A quanto pare questa azienda di mobilità e logistica è in grado di trasportare proprio tutto, squali compresi. Forse il look dei loro camion è una strizzata d’occhio al celebre pezzo di Damien Hirst, The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living? Certo, l’idea sarebbe ben trovata, e anche ben realizzata, dato che la forma rettangolare del container assomiglia (anche per dimensioni: 5 x 2 x 2 metri) più o meno alla vasca di formaldeide dove Hirst aveva sistemato il suo squalo tigre, e, come quello, anche questa immagine dà l’inquietante sensazione che il mostro sia vivo e intenzionato a aggredirci.
Ma forse c’è dell’altro. Poco si è detto del titolo del pezzo di Hirst. Nella mente di uno che vive non c’è spazio per la morte, nemmeno se la vede in faccia. Non è una questione di esperienza (Epicuro diceva che se ci siamo noi la morte non c’è, e se c’è la morte allora vuol dire che noi non ci siamo più), quanto piuttosto di senso. Il senso della morte non lo capisci osservando qualcuno che sta per uccidere, e nemmeno qualcuno che morto lo è già. Il senso è piuttosto, come dicevano gli stoici, un effetto di superficie, un risultato incorporeo che trova spazio in una relazione – in between.

Per capire il senso della morte non dovremmo provare a immaginarci tutti quanti, negli acquari delle nostre strade, come pesci imbalsamati in formaldeide?”.

Anni fa, dei buontemponi alla ricerca di un po’ di pubblicità a buon mercato avevano esposto uno squalo in tutto simile a quello di Hirst, sostenendo anzi che l’artista aveva preso spunto dalla loro installazione, e che uno squalo non è certo arte. Ma il “loro” squalo non c’entrava un bel nulla con quello di Damien: infatti, se ne stava appeso come un mostro qualunque, anzi, come un pesce fuor d’acqua. Insomma, come quel coccodrillo che fa bella mostra di sé nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone (vicino a Mantova), messo lì un bel cinque secoli fa. La forza di The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living, invece, sta nel dettaglio tutt’altro che secondario che il predatore sembra appena colto nel suo ambiente naturale, sembra appena catturato nell’habitat acqueo che gli è proprio – il suo senso nasce dallo scompenso percettivo generato fra la “cosa” e la sua impressionante cornice tridimensionale.
I creativi, o chi per loro, della Fercam si sono rivelati in questo caso dei critici più raffinati. Catturando l’immagine di Hirst (consapevolmente? Per una pura intuizione? Chi lo saprà mai?) hanno saputo rinvigorire il senso dell’opera originale e trasformarla in qualcos’altro. Lo squalo autostradale fa riflettere per un attimo se anche nella vettura accanto non si divincoli un mostro che vorrebbe fuoriuscire dalla sua gabbia. O forse, per capire il senso della morte non dovremmo provare a immaginarci tutti quanti, negli acquari delle nostre strade, come pesci imbalsamati in formaldeide? Ma in fondo cambiare quadri mentali non è il compito autentico della cultura?

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #40

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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