Di libri, tempo e progetto. Un dialogo fra Gianluigi Ricuperati e Patricia Urquiola
Si presenta oggi alla Iqos Embassy di Torino il nuovo romanzo di Gianluigi Ricuperati. Mentre fra poche settimane ci sarà a Milano il Salone del Mobile, con una importante mostra di Patricia Urquiola per Cassina alla Fondazione Feltrinelli. Qui li trovate entrambi impegnati in un dialogo, fra progetto e letteratura.
Ho incontrato Patricia Urquiola – che per il mondo è una dei nomi fondamentali del design contemporaneo e per me un’amica cara, e la seconda lettrice di tutti i miei romanzi – in occasione di una conversazione pubblica su letteratura e progetto alla Iqos Embassy di Torino.
Iqos Embassy è il nome del concept store che ha sede in un incantevole palazzotto del Cinquecento a Torino, dove si tengono con regolarità eventi culturali innovativi e dove è possibile curare piccole grandi operazioni “relazionali” che mettono in dialogo discipline diverse. Poco prima dell’inizio, attorniati dalle sculture traspiranti dell’architetto taiwanese Arthur Huang, amici e clienti di Iqos – la minimalistica e monocolore “penna” per degustare il tabacco, riscaldandolo anziché bruciandolo – passeggiamo tra decine di fan di Patricia, che io amo definire la contralto del progetto contemporaneo, una voce insieme intonata e inattuale, tutto l’opposto di qualsiasi minimalismo bianco o nero. Penso, mentre ci avviciniamo al tavolo e al microfono: chissà come sarebbero questi oggetti così tecnologici e così quotidiani, messi nelle mani di un gusto come il suo, tutto improntato ai cromatismi e ai pattern complessi.
Il motivo per cui questo incontro è avvenuto qui e ora ha anche qualcosa da spartire con il mio calendario editoriale: un libro in uscita da Gallimard in Francia e uno in uscita da Feltrinelli in Italia. Io vorrei parlare di architettura e libri, dei suoi libri, ma Patricia è dolcissima e volitiva e vuole omaggiare l’arrivo dei miei. Ecco la trascrizione di un’intervista in cui io volevo parlare di lei e lei voleva parlare di me.
Gianluigi Ricuperati: Partiamo di nuovo, e ancora una volta, da letteratura e design: Patricia, tu sei una lettrice straordinaria, i romanzi li leggi con una pazienza, un’attenzione… Sei una grande appassionata di letteratura e, come dico sempre, c’è molta letteratura nel tuo design, c’è un sapore, c’è un’aria letteraria, proustiana secondo me, perché gran parte delle idee formali, cromatiche, di atmosfera dei tuoi lavori vola via restando presente, come un ricordo solido. Ma per dire l’estensione dei tuoi interessi e della tua personalità, una delle ultime apparizioni mediatiche sui generis che hai fatto, Patricia, è esser stata parte di numero di Vogue Francia curato da Karl Lagerfeld…
Patricia Urquiola: È andata così: quando abbiamo fatto la prima presentazione con Cassina, l’anno scorso al Salone del Mobile, tra la varie novità c’era una poltrona che si chiama Gender, che ho seguito io. Ho aperto di discussione con l’azienda perché, essendo la prima volta che una persona, una donna fa l’art direction di un’azienda, questo tema non pensavano di abbracciarlo mai… C’erano tantissimi pregiudizi, tantissimi idee molto chiare su quella che è un’azienda molto maschile, un’azienda legata all’identità di tanti impressionanti maestri, importantissime narrazioni. Uno dei temi che ho trovato è stato proprio Gender, un oggetto che è un po’ come uno zelig: cambia in continuazione e comunque è una poltrona che non ha trovato il suo genere…
G. R.: o genero…
P. U.: … o genero, possiamo fare il gioco di parole. E comunque lui, Karl Lagerfeld, appena uscì dal Salone del Mobile ci chiamò e disse: “Voglio i due primi prototipi immediatamente”. Fu una cosa molto carina. Per me finiva lì, e invece ci disse che voleva fare un numero speciale: “Sto mettendo insieme le donne che sono affinità elettive per me e che mi sono vicine per varie ragioni, e lei non è vicina o lontana perché non la conosco, però per me rappresenta…”. E quando eravamo lì a fare la foto, io ero molto agitata. Eravano nel quartier generale di questo uomo della moda, con tanti anni, insomma… Per me era una situazione fastidiosa e lui a un certo punto mi ha visto agitata e mi ha detto: “Non ha un iPhone 7?”. “No”. “Tenga”, e me l’ha regalato con la scatola, come Babbo Natale.
G. R.: Beh, questo è divertente! Ma c’è qualcuno tra i tuoi tanti eroi che hai conosciuto nel corso del tuo mestiere, della tua parabola artistica e umana, nel quale ti piacerebbe incarnarti, provare la loro vita per qualche secondo?
P. U.: In tutta la mia narrazione, nel mio modo di fare, ci sono collegamenti su tante cose, di altre vite vissute, di cose che ti riportano al progetto, e secondo me è un falso tema. Quello che trovo invece è che guardando il tuo libro, leggendolo, mi sorprendevano due cose: ti avvicini alle persone, quelle che reputi amiche. C’è qualcosa nel loro vivere la vita, con tutti i momenti intelligenti ma anche i momenti di stupidità, di goffaggine, di banalità, tutti quelli che accompagnano anche me, ma in qualche modo c’è sempre un sapere che li trasforma in una forma creativa. Non sono tutti creativi i miei più grandi amici, ma in qualche modo hanno questa poesia molto forte e questo mi lega moltissimo a loro.
G. R.: Il libro che abbiamo fatto insieme si chiamava Time to Make a Book…
P. U.: In quell’occasione ti ho battezzato “il transumante”, perché c’era questa specie di ansietà. Lo guardi e pensi: “Dove va?”. Eravamo in un posto, ci trovavamo, lui aveva sempre questa grande paura di cadere, non so, nel divertimento borghese, e allora partiva immediatamente a fare un’altra cosa per non cadere in certe circostanze.
G. R.: Il primo incontro che abbiamo avuto è stato parlando di letteratura.
P. U.: Sì. Sono molto colpita dal fatto che, a una settimana dall’uscita del libro, sia già uscita la prima recensione.
G. R.: Si usa così, a volte, in editoria.
P. U.: Fantastico! Le critiche del Salone del Mobile non escono prima.
G. R.: Perché c’è molta più pressione economica. Provo un po’ di invidia, di sana invidia, per il mondo dei designer, dove ci sono industrie più grosse rispetto a quella letterarie, che non è neanche un’industria. Vedo molti parallelismi e cose invece completamente diverse nel processo creativo, però sono sempre interessato a quei codici, alla trasmigrazione reciproca dei sapere, ed è questo l’argomento fondamentale. Parliamo sempre della stessa cosa ma cambiando leggermente angolazione, quindi questo è il punto per me importante, ed è per questo che la seconda persona che legge sempre i miei libri è una persona che non è un’autrice, ma nel tuo lavoro c’è sempre un elemento di remembrance, diciamo proustiana, che è veramente molto forte. Ho la sensazione che ogni volta che disegni qualcosa… che poi il termine ‘disegnare’ forse non è quello giusto.
P. U.: Credo che sia meglio la parola ‘progettare’.
G. R.: Ecco, ‘progettare’. Io ho sempre questa idea, che, quando progetti, pensi… Immagino te adolescente nella tua cameretta che stai leggendo, non dico Proust, perché magari non si legge a tredici anni…
P. U.: Sì, infatti Proust l’ho letto ai tempi della tesi di laurea, lo ricordo intensamente.
G. R.: Ecco, mi immagino questa Patricia adolescente e mi chiedo se gli oggetti che progetti sono stati anche un modo per nascondere, per giocare a nascondino con questa identità lontana.
P. U.: L’infanzia l’ho vissuta molto con Juan, mio fratello: eravamo come due gemelli, eravamo molti uniti. Lui è sempre stato un uomo di grande conversazione, molto posato, io un pochino maschile, sempre a fare cose, agitata. Vivevamo in un luogo dove pioveva continuamente, arrivava il weekend e arrivavano quei momenti in cui si giocava – la nostra sorella maggiore non giocava mai con noi, non fa parte dei miei ricordi. Invece ricordo la prima musica, la musica con Juan, il 45 giri. A dieci anni me l’hanno regalato, ed è stato importantissimo, era di David Bowie, quello c’era e lo sapevo a memoria. Mi ricordo che il bagno era il luogo della lettura, perché ci picchiavamo per gli stessi libri: dovevi prenderlo per primo, perché eravamo in tre, e correre in bagno. Mi ricordo questo bagno verde, verde. Poi ricordo che giocavo con una casa delle bambole, verde anche quella, con il tetto a terrazza, perché non era una casa vittoriana.
G. R.: Una casa delle bambole modernista. A proposito di modernismo, uno dei primi libri di cui abbiamo parlato è la versione spagnola di libro di Vladimir Nabokov, Cosas transparentes.
P. U.: Quel libro per me è come una Bibbia, come un mantra. Per la mia professione è fondamentale: potrei quasi recitarlo a memoria.
G. R.: Perché?
P. U.: Io sono fissata con il concetto di tempo: ogni volta che leggo un libro e mi trovo a un certo punto qualche commento, un ragionamento che approfondisce il rapporto col tempo, sono felice. E in Cosas transparentes ci sono molti momenti di questo tipo. Se il futuro fosse un po’ meno inafferrabile, il peso della nostra memoria, del nostro passato, sarebbe molto meno presente, ci sarebbero meno problemi, riusciremmo ad essere nel presente in maniera molto più leggiadra, più leggera, alla maniera dei Greci. In qualche modo Nabokov fa questo ragionamento: di come vive la vita in questo rapporto tra il passato e il futuro. Sto pensando ad esempio al Salone: stiamo facendo un progetto con la Fondazione Feltrinelli.
G. R.: In cosa consiste?
P. U.: Siamo andati lì con Cassina e ho detto: “Per gli ottant’anni abbiamo fatto il libro e la cena, per i settanta il libro e la cena… Arrivano i novant’anni e devi fare qualche altra cosa”. E così abbiamo fatto quattro interviste con quattro personaggi bellissimi, tra cui Beatriz Colomina, una donna fantastica che ha seguito la terza Biennale di Design a Istanbul, un personaggio che amo. E comunque abbiamo detto che avremmo speso i soldi per fare una mostra, un’installazione che entra in rapporto con l’edificio, visto che sarà la prima volta che molta gente che non è di Milano arriverà e potrà gustarsi l’edificio; faremo una rappresentazione tra quello che è il nostro passato e il nostro presente e lo chiameremo, invece che Cassina 90, Cassina 9.0. Come in Cose trasparenti: cogliere comunque la leggerezza per muoversi in qualche maniera, nel presente, per progettare aperti al futuro, secondo me, è un gioco delicatissimo, perché il peso del passato è così contundente e il futuro è sempre li, da venire, verso di noi, e noi siamo sul confine e non cadiamo.
G. R.: Il personaggio del libro Cose trasparenti, peraltro, è un correttore di bozze, e anche qui torna il tema del libro, e in quattro capitoli diversi fa quattro viaggi che lo riconnettono con un passato molto complicato.
Gianluigi Ricuperati
Il nuovo libro di Gianluigi Ricuperati, “La scomparsa di me” (Feltrinelli), sarà presentato alla Iqos Embassy di Torino oggi 23 febbraio a partire dalle 19.30.
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