Il nuovo spettacolo di Angélica Liddell parla di pena di morte

Nonostante il tema evochi scenari cupi, lo spettacolo di Angélica Liddell parla di carità, in tutti i suoi significati

Una ghigliottina rosso brillante domina il palcoscenico, d’altronde la pena di morte è indicata fin dal titolo quale tema dello spettacolo Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli. Ma si tratta pur sempre di una creazione di Angélica Liddell (Figueres, 1966), dalla quale – fortunatamente, verrebbe da dire – non ci attendiamo certo un pamphlet da teatro politico ovvero agit-prop. Ecco, dunque, che, fin dall’esordio, l’artista spagnola conferma il suo ineguagliabile talento nel generare opere d’arte – visive, performative, filosofiche – su un palco, in questo caso quello della bolognese Arena del Sole. Caridad rivela immediatamente la propria natura di trattato di etica ‒ o, meglio, di contro-etica –, dilatato dalla riflessione sulla pena capitale alle varie e apparentemente contraddittorie definizioni di “carità”.

Angélica Liddell, Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli

Angélica Liddell, Caridad. Un’approssimazione alla pena di morte divisa in 9 capitoli

LO SPETTACOLO DI ANGÉLICA LIDDELL

Punto di partenza è il Vangelo di Matteo e, in particolare, l’ammonimento a optare, caritatevolmente, per il perdono non solo “sette volte” ma “settanta volte sette”. Il Nuovo Testamento quindi e, poi, anche la Lettera ai Corinzi di San Paolo: un repertorio esplicitamente cristiano, fatto anche di visioni e immagini, che richiama un autore più o meno esplicitamente citato, ovvero Pasolini, quello del Vangelo Secondo Matteo certo, ma anche quello de Il fiore delle Mille e una notte – di cui è ricreata un’immagine – e di Salò. Citazioni, reinterpretazioni, variazioni sul tema costruiscono lo scheletro dello spettacolo: la Caritas romana di cui sono protagonisti il vecchio Cimone e la figlia Pero, exemplum riprodotto poi da Caravaggio; Il disprezzo di Godard e Ordet di Dreyer; il marchese De Sade e George Bataille; il Miserere di Allegri e Happy Together di The Turtles. Un’eterogeneità soltanto apparente, attraversata dal filo rosso dell’erotismo e, in primo luogo, della “trasgressione”, da intendere quale aspirazione a violare consapevolmente le norme che illudono l’uomo di aver saputo domare quel “criminale”, quel “mostro” che alberga in ciascuno. Paradigmatica, in questo senso, la figura di Gilles de Laval, luogotenente di Giovanna d’Arco e “assassino seriale” di bambini, sul cui processo scrisse proprio Bataille: su di lui è incentrato il settimo capitolo dello spettacolo, in cui è posta in luce la labilità dell’antinomia colpa/innocenza, cattiveria/ingenuità.

Angélica Liddell, foto Bruno Simao

Angélica Liddell, foto Bruno Simao

CARIDAD DI ANGÉLICA LIDDELL

Alla pluralità di ispirazioni corrisponde una pluralità di linguaggi che scrivono una messinscena coesa, tenuta insieme dalla potente presenza scenica di Angélica Liddell ma anche dalla precisione dei singoli sipari, originali crasi fra installazioni artistiche e tableaux vivant. Gli schermitori paraolimpici con in grembo mazzi di rose rosse destinate a cadere, un cane disabile e i bambini, la mungitrice meccanica e la macchina per pulire i pavimenti, gli animali imbalsamati e le pecore, il cieco e i laringectomizzati, i rami d’ulivo e le calle, la ghigliottina e il clavicembalo. Monologhi e urla strazianti, parti testuali proiettate sul fondo del palcoscenico. Orge simulate ma anche giacche appoggiate protettivamente sulle spalle, descrizioni di orrori ma anche un ballo in cui laringectomizzati e bambine – gli ultimi tre condannati alla ghigliottina in Francia meno di cinquant’anni fa e le loro giovani vittime – celebrano perdono e amore, ovvero carità.
Un susseguirsi di sequenze attraverso le quali Liddell ci mostra quanto la catarsi, tuttora vagheggiata malgrado la dichiarata morte della tragedia, non possa illusoriamente tradursi nella compiaciuta soddisfazione per la condanna esemplare dei criminali bensì nell’esercizio della caritas, che è riconoscimento delle ferite dell’anima, a partire dalla propria: “La carità implica l’accettazione totale della natura umana, inclusa la cattiveria, che non è altro che un gran concentrato di sofferenza”. Ecco, allora, che lo spettacolo diviene – soltanto paradossalmente – un accorato inno all’amore e a quella forma genuina di amore che è l’arte.

Laura Bevione

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Laura Bevione

Laura Bevione

Laura Bevione è dottore di ricerca in Storia dello Spettacolo. Insegnante di Lettere e giornalista pubblicista, è da molti anni critico teatrale. Ha progettato e condotto incontri di formazione teatrale rivolti al pubblico. Ha curato il volume “Una storia. Dal…

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