Il primo testo di Čechov in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto

Il primo testo di Čechov, già complesso nei concetti e assai articolato nella forma, non è facile da portare in scena, ma Liv Ferracchiati accetta la sfida e la vince. Al 64esimo Festival di Spoleto uno spettacolo suggestivo, drammatico e ironico insieme, che ha riscosso il meritato gradimento del pubblico.

Lo smarrimento davanti alla scelta, il terrore delle conseguenze, il fascino pericoloso delle illusioni. La felicità è sempre altrove, cercarla significa rischiare una delusione. Per questo l’individuo è incapace di vivere il presente, concentrando l’esistenza sui ricordi o sulle aspettative. È un testo complesso Platonov di Čechov, che Liv Ferracchiati affronta con un taglio registico concettuale. Scompare la tenuta dove, un’estate fatale, s’incontrano Platonov, la moglie Saša, la giovane vedova Anna Petrovna, la proprietaria terriera Marja Grekova e Sof’ja (gli unici personaggi che il regista mantiene, dei 23 totali), scompare l’alternarsi del giorno e della notte, resta il palcoscenico completamente nero, appena rischiarato da una luce che ferisce lo sguardo: quasi un’arena dove dar sfogo alle tensioni dell’individuo, dove concentrare solitudine, alienazione dei sentimenti e morte degli ideali. Gli attori vi si muovono come animali in gabbia, come dadi su un tavolo da gioco. E un gioco è il dramma che si svolge, a capire e riconoscere se stessi, una sfida contro le proprie inadeguatezze. Con una scenografia concettuale, Ferracchiati valorizza al massimo il linguaggio del corpo e il ruolo della parola, per costruire uno spettacolo che è un vero e proprio “combattimento”, un serrato confronto fra la passione e la razionalità, così come fra l’uomo e la donna.

UN DRAMMA IRRISOLTO

Sotto la regia di Ferracchiati Platonov diventa un dramma sospeso fra la vicenda immaginata da Čechov e la dimensione della vita quotidiana dell’individuo, fatta d’insoddisfazione, inquietudine, timore dell’altro, senso d’incompiutezza. Riccardo Goretti ‒ nei panni di Platonov, antieroe eponimo del dramma ‒ interpreta quella che può essere l’autentica tragedia di un uomo ridicolo: il suo è un personaggio soccombente nel senso bernhardiano del termine, ma, ancora una volta, incapace di scegliere, lascia che siano le donne a indirizzare il suo destino. Ferracchiati, lettore/narratore/contraddittorio, è forse il vero motore di questa grande macchina teatrale. Dal suo immaginario dialogo con Platonov scaturisce la lotta di un uomo con le sue paure che riconosce riflesse in un personaggio letterario, e in certi momenti i due quasi si fondono in un unico, contradditorio, tormentato, ma anche autoironico, individuo a metà fra XIX e XXI secolo.
Di spessore le prove delle quattro attrici, Francesca Fatichenti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna, che si muovono su corde ora drammatiche, ora comiche, ora romantiche, rivelando personalità “carnali”, nelle cui vene scorre sangue caldo, ben diverse dal tiepido e irresoluto Platonov. Ma nemmeno loro riescono a compiersi, perse nell’indeterminatezza di quella grande danza che è la vita.

Liv Ferracchiati, Platonov, 2021, Festival dei Due Mondi di Spoleto. Photo Luca del Pia

Liv Ferracchiati, Platonov, 2021, Festival dei Due Mondi di Spoleto. Photo Luca del Pia

IL TEATRO, UN CORPO VIVO

Il regista si avvicina a un autore ormai classico e lo mette in discussione, lo adatta alle esigenze della società contemporanea, lo riveste di nuovi significati esaltandone la capacità di parlare a epoche diverse. Le inquietudini di Platonov sono in larga parte universali, ma Ferracchiati, nella sua rilettura, vi aggiunge considerazioni che non possono prescindere dagli stravolgimenti alla vita sociale causati dalla pandemia: nel “lungo inverno” che tanto influisce sulla malinconia di Platonov, e ne accentua l’irascibilità, si ritrovano facilmente le atmosfere del lungo isolamento che ha caratterizzato gli ultimi diciotto mesi: così, la titubanza per il contatto fisico accompagna e aggrava l’atavica diffidenza che sempre separa gli individui. E la ridicola irresolutezza del protagonista nel compiere scelte, espressa fin quasi all’ossessione, fa pensare all’indebolimento del senso critico nell’opinione pubblica dopo decenni di assuefazione al consumismo di massa. A livello del singolo, la mancata catarsi finale, ovvero la non morte di Platonov per mano immaginaria dello stesso lettore/narratore, estrinseca la natura psicologica della drammaturgia di Ferracchiati: non si eliminano le proprie paure agendo sulla causa esterna, lo si può fare soltanto agendo su noi stessi.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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