Morto Giuliano Scabia, artista, scrittore, pedagogo. Il ricordo di Valentina Valentini

L'artista, scrittore, pedagogo è morto il 21 maggio a Firenze. In questo ricordo ripercorriamo il suo teatro e la visione dell'arte.

Dar conto della figura di Giuliano Scabia (artista di teatro, scrittore, pedagogo), che ci ha lasciati il 21 maggio nella sua Firenze, e farlo in un breve articolo non è semplice, perché abbiamo di fronte una imponente produzione di attività e di testi che è ininterrotta dai primi anni Sessanta ai due decenni del Nuovo Millennio[1]. Le sue azioni e le sue riflessioni procedono affiancate, integrandosi: il racconto e l’esposizione con la vivezza e concretezza dell’esperienza realizzata e viceversa. Il suo fare ritrova un ordine costruttivo e una cornice metodologica grazie al distanziamento apportato dal procedimento di scrittura.

CHI ERA GIULIANO SCABIA

Evadendo dagli obblighi del resoconto cronologico di una esistenza laboriosa e produttiva lunga più di mezzo secolo, metto a fuoco due aspetti della figura di Giuliano Scabia che si rispecchiano: la dimensione poetica del suo operare, la qualità innata di trasformare tutto in poesia (“un uomo che sa essere grande con le piccole cose”) e l’efficacia pragmatica della sua opera. Il suo artigianato poetico, il suo sereno angelico volare in alto partendo dalla terra, la sua capacità di utilizzare forme espressive diverse, incorporandole tutte: racconta nel teatro di stalla, innalza la voce come un cantastorie, impersona animali, alberi, fate diavoli, angeli, alberi, costruisce giganteschi pupazzi. In tutte le sue attività, è la poesia, con il suo ritmo che viene dal respiro, l’essenza che rende viva non solo la costruzione linguistica dei suoi testi ma anche i mondi che il poeta Scabia immagina, costruisce e condivide con studenti, operai, anziani e giovani che incontra e convoca con il suo Teatro vagante. Questo innescare una poesia vivente proviene da un sentire le parole come dei semi che si depositano e germogliano – come scrive in Nane Oca, un romanzo, o meglio un ciclo (avviato nel 1992 con Einaudi, che continua nel 2019 con Nane Oca rivelato), in cui il dialetto dell’infanzia, il pavano, si intona con il suo gesto e la sua voce in azioni in piazze, strade, boschi, abitati da paladini e da cavalieri erranti, da arcangeli e da diavoli.

LA POESIA AL TEATRO

Questa immagine della poesia come germinazione – depositare le parole, metterle vicino in modo che si leghino fra di loro – si ritrova anche in Lorenzo e Cecilia (Einaudi 2000) che vede le sue parole come gocce di rugiada che vanno in un luogo fecondo e favoriscono la crescita. Per Scabia la poesia è oralità, il linguaggio passa di voce in voce, è sostenuto dalla memoria, dalla convivenza e famigliarità con i testi della letteratura. In questa prospettiva   la poesia è efficace perché dà la possibilità di creare altri mondi e di abitarli, è “Il mondo accanto”, vado nel mondo accanto – dice Scabia – e me la godo, è immenso, è meraviglioso, è l’infinito… e poi torno indietro”. La poesia è efficace perché va oltre lo spazio e il tempo: “sappiamo che l’universo un giorno finirà ma noi, intanto, ci godiamo il ballo, il paradiso, la danza nel linguaggio, la lingua vivente incorporata di tutti i poeti che sono scritti nella memoria collettiva. Mi permette di ballare nella palude come una rana, quelle di Aristofane, di sognare dentro le sue parole …“. Queste le sue parole il 4 marzo scorso al Teatro Biblioteca Quarticciolo in occasione dell’incontro con Stefano Colangelo La Poesia a Teatro–  Abbiamo premesso che nell’opera di Giuliano Scabia, azione e scrittura sono due campi e due attività senza soluzione di continuità, interagenti ed entrambi sono efficaci, producono delle trasformazioni, incidono nel soggetto singolo e collettivo, nel contesto  in cui si agiscono, sia esso istituzione scuola, università, sia esso processo produttivo dello spettacolo , dunque istituzione teatro, o istituzione psichiatrica. Con Marco Cavallo, creatura azzurra di cartapesta, la città di  Trieste diventa la scena  in cui  il gigantesco pupazzo, costruito durante il laboratorio realizzato con  pazienti, infermieri e medici dell’ospedale psichiatrico diretto da Franco Basaglia, si fa portatore  di un ribaltamento: dal chiuso del manicomio all’aperto della città, dall’isolamento alla socialità, dalla sofferenza alla gioia. Infatti, attorno a Marco Cavallo i matti ballavano, cantavano e creavano storie con i burattini. Questa esperienza ha dato un contributo decisivo allo smantellamento degli ospedali psichiatrici e al processo che ha portato alla cosiddetta legge Basaglia.

IL TEATRO SECONDO SCABIA

Il fare teatro di Scabia fuori dai teatri, strutture chiuse anch’esse, lo ha portato a percorrere l’Italia da nord a sud, attraversando i boschi dell’Appennino reggiano, fiumi, piazze di città, stalle di pastori, aule scolastiche, fabbriche (Scontri generali, 1971). Anche in queste operazioni riscontriamo una essenza germinatrice come nella poesia, per cui le istanze “politiche” di lotta per cambiare le istituzioni (scuola, università, teatro, fabbrica, ospedale…) o semplicemente offrire  la possibilità di vivere nel “mondo accanto” , attingono ai miti greci, alla letteratura, alle tradizioni orali contadine, ai dialetti… e alimentano di energia e fantasia le costruzione collettive. Gli oggetti di grandi dimensioni del suo teatro vagante di campagna e di città, pupazzi giganti, totem, draghi, svolgono la funzione di archetipi angelici e diabolici, protettivi e distruttivi, inducono il canto e il ballo, declamazioni improvvisate. Il suo insegnamento di Drammaturgia al DAMS si declina come un repertorio di progetti militanti e attivisti, come il teatro- giornale dedicato allo scandalo Watergate per le strade di Bologna, il modo in cui ha interagito con il movimento del ‘77 a Bologna proponendo un Viaggio dentro Leonce e Lena di Georg Büchner, una lente attraverso cui scorgere il senso dell’azione nel presente di quell’anno sconvolgente. Forse è per questa sua consuetudine   di trasferirsi “nel mondo accanto” che Scabia ha sempre continuato ad “andare”, con sulle spalle la gerla dei burattini e  in groppa al suo cavallo, per le strade di Castelfranco Veneto, sui sentieri verso il cratere del Monte Etna, sulle tracce di Empedocle. E se anche durante la sua malattia non è mai sparito di scena, pur non essendo mai stato alla ribalta, sarà dovuto al suo stare fra poesia, letteratura, teatro, sarà dovuto alla levità, gentilezza e gioia  di cui è circonfuso.

Valentina Valentini

[1]  Cfr. per biografia, bibliografia ,focus su https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com

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Valentina Valentini

Valentina Valentini

Valentina Valentini insegna arti performative e arti elettroniche e digitali alla Sapienza Università di Roma. Le sue ricerche comprendono il campo delle interferenze fra teatro, arte e nuovi media. Fra le sue pubblicazioni: "Nuovo teatro Made in Italy" (2015), "Medium…

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