Intervista a Felicia Atkinson ospite del festival torinese Jazz is Dead!

In attesa della prossima edizione di “Jazz is Dead!”, la rassegna musicale che dal 10 al 12 settembre invaderà il Bunker di Torino, abbiamo fatto qualche domanda a uno degli ospiti più attesi dell’evento, Felicia Atkinson.

Le sperimentazioni di Felicia Atkinson – artista a tutto tondo nata a Parigi nel 1981– riescono a valicare ogni confine, manifestandosi sia attraverso la composizione di brani musicali di matrice minimalista sia con progetti artistici che vanno dalle installazioni ambientali alla produzione di pubblicazioni molto particolari. A darci qualche delucidazione in più sulla sua poetica è l’artista stessa.

Tutta la tua produzione musicale è contraddistinta da sussurri, riverberi, suoni dilatati e pause molto lunghe (come attesta anche il tuo ultimo album, Echo), ma in un’epoca storica dove la fruizione della musica è completamente cambiata, a favore di un ascolto di massa sempre più rapido e superficiale, dove si colloca la tua ricerca? Cosa ti spinge a continuare nelle tue sperimentazioni?
Proprio grazie alla metafora del sussurro, che dà la sensazione di trovarsi accanto all’orecchio di qualcuno, personalmente posso dire di sentirmi molto vicina alle persone che ascoltano la mia musica. Sussurrare è un modo per avvicinarsi agli altri. Molta della mia musica trae ispirazione dai dipinti che osservo, dai libri che leggo e dalle passeggiate che faccio in città o nella natura. Sono tutte esperienze che ti fanno sentire vivo, attraversato dalle cose, che sia una storia, un albero o un profumo. Per esempio, ultimamente sto pensando molto al modo in cui le betulle si muovono con il vento.

Quanto pensi sia importante, al giorno d’oggi, ascoltare il silenzio?
Non sono sicura che il silenzio esista, quello che è importante è ascoltare, qualunque cosa: il rumore dell’aria condizionata, il respiro di qualcuno, il suono dell’acqua, ma anche quando qualcuno ti parla. L’atto dell’ascolto è già un contatto, un tocco.

Hand in hand, credits Shelter Press

Hand in hand, credits Shelter Press

MUSICA, EDITORIA E ARTE

Oltre a essere una musicista, ti occupi anche di arte visiva. Vedi una separazione tra la tua produzione musicale e quella artistica?
Non proprio. La vedo più come se si trattasse di luci differenti dello stesso prisma. La mia pratica è influenzata dai contesti: a volte il contesto è visivo, a volte musicale, a volte poetico. Altre volte nulla di tutto ciò!

Tra i tuoi numerosi progetti c’è anche quello della casa editrice Shelter. Ci racconteresti brevemente la sua genesi e i motivi per cui è nata?
Shelter Press è un’etichetta discografica e casa editrice fondata da me e da mio marito Bartolomé Sanson. Siccome abbiamo un bambino piccolo, e io ho già un sacco di lavoro con la musica e i progetti artistici, è lui che si occupa per lo più di tutto il resto. Diciamo che è un’impronta molto personale, come una casa dove invitiamo le persone al nostro tavolo per collaborare insieme, che si tratti di un disco o di un libro. Non c’è nessuno staff oltre a noi due.

Lo sai che Torino è una città famosa per le sue energie magiche? Hai pensato a un set particolare per il tuo live in occasione di Jazz is Dead!? Puoi anticiparci qualcosa?
No, non lo sapevo, ma mi piacerebbe molto saperne di più. Il mio set sarà una sorta di introduzione al mio prossimo album, che uscirà per Shelter Press verso la fine di quest’anno, dal titolo Image Language.
È un lavoro che si ispira al ruolo delle voci/monologhi interiori nel cinema e nella letteratura dell’avanguardia degli Anni Cinquanta.

Valerio Veneruso

www.jazzisdeadfestival.it

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Valerio Veneruso

Valerio Veneruso

Esploratore visivo nato a Napoli nel 1984. Si occupa, sia come artista che come curatore indipendente, dell’impatto delle immagini nella società contemporanea e di tutto ciò che è legato alla sperimentazione audiovideo. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM –…

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