Riccardo Dillon Wanke – musicista per necessità, chimico di formazione – lo sa che tutto sta nel dosaggio, nel “potere di sposare gli elementi e di farli reagire”. Nel settembre del 2010, RDW, italiano partito per il Portogallo con in valigia un cognome importante, ha fatto nascere Mazagran, etichetta discografica con base a Lisbona e (a oggi) cinque uscite in catalogo. Mazagran è il reagente in grado di provocare uno stato di transizione tra elementi disparati.
Il manifesto è un doppio interamente consacrato al flautista extraordinaire Manuel Zurria. Un poderoso saggio di meta-composizione piuttosto che il canonico focus sul solista. Un quarto di elettronica, due di flauto, uno di genialità esecutiva, Zurria reinventa musiche di Scelsi, Oliveros, Lucier, Curran e Duncan (nel disco I), Jacob TV, Beglarian, Barlow, Basinski, Rzewski e Riley (nel II). Mettendoci del suo e indicando, a partire dalla scelta dei brani eseguiti – tutt’altro che di rappresentanza -, una via maestra che conduce dritta dritta al futuro della musica.

Al “massimal-minimalismo” di compositori come Niblock e Radigue si ispira invece Tom Johnson in Orgelpark Color Chart: dove avviene che il suono di quattro organi registrati dal vivo all’Orgelpark di Amsterdam possa farsi microscopico come un sondino che esplora cavità recondite dell’animo umano o man mano lievitare, fino ad assumere le dimensioni di un’imponente nebulosa oscura. Più recente Airfields, brano in 12 movimenti per ensemble (nientemeno che il musikFabrik) ed elettronica a opera del compositore di origini cipriote Yannis Kyriakides, uno (credetemi) da tenere d’occhio.

Improvvisazione pura per le altre due uscite: quelle dei portoghesi David Maranha e Manuel Mota. Entrambi musicisti del silenzio – all’organo il primo, chitarrista il secondo -, si fanno affiancare da valenti percussionisti (Gabriel Ferrandini e Jason Kahn) per mettersi all’ascolto di una lingua sconosciuta, per disputare l’ennesima sfida contro la catastrofe della musica – contro la minaccia, sempre incombente di Caos e di Silenzio, “la morte del musicista e la morte della musica sensibile”.
Vincenzo Santarcangelo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6