Downton Abbey: dietro le quinte del gran finale

Scenografie e costumi trasformano l’ultimo capitolo della saga in un viaggio tra modernità e tradizione. Il trailer

Downton Abbey torna sul grande schermo e lo fa con l’eleganza di un addio che diventa, al tempo stesso, un nuovo inizio. In Downton Abbey – Il gran finale, nelle sale dall’11 settembre 2025 con Universal Pictures, capitolo finale della saga firmata da Julian Fellowes, ritroviamo la famiglia Crawley e la loro servitù all’alba degli anni Trenta, in bilico tra splendore e declino. 

La trama di “Downton Abbey – Il gran finale”

La tenuta, microcosmo di tradizioni secolari e gerarchie in trasformazione, si trova a fare i conti con scandali pubblici, difficoltà economiche e l’inevitabile arrivo della modernità.

“Ogni generazione reinventa il modo di vivere in queste grandi dimore”, racconta Fellowes, e così accade a Downton: Andy raccoglie l’eredità di Carson, Daisy sostituisce Mrs. Patmore, e il rituale del servizio domestico si alleggerisce, perdendo “l’esercito” che un tempo lo sorreggeva. Come la stagione londinese dei balli delle debuttanti, un mondo amato e poi svanito, anche lo stile di vita dell’aristocrazia edoardiana si reinventa, lasciando spazio a una nuova epoca.

Per Donal Woods, scenografo di Downton Abbey fin dagli esordi, leggere la sceneggiatura dell’ultimo capitolo è stato un ritorno alle origini, ma con la consapevolezza che qualcosa stava per chiudersi. “Guardare indietro e sapere che, dopo tutti questi anni, il pubblico continua ad amare questo mondo è la sensazione più forte”, racconta. Una consapevolezza che rende ogni scelta visiva ancora più preziosa, perché non si tratta solo di allestire scenari, ma anche di dare forma a una memoria collettiva.

Da Ascot alla Fiera della Contea: le scenografie del film

Come sempre, la sfida è stata quella di aprire il film con una scena inaspettata: questa volta, l’ambientazione è il Richmond Theatre, teatro londinese progettato da Frank Matcham e inaugurato nel 1899. Spazi angusti dietro le quinte e architetture vincolanti hanno imposto al reparto scenografico soluzioni creative, mentre altre sequenze – dal Royal Ascot (famoso ippodromo che si trova nello Berkshire) alla Fiera della Contea – hanno richiesto un lavoro di reinvenzione e fedeltà storica insieme.

Ascot, per esempio, è stato ricreato a Ripon, uno degli ippodromi più piccoli d’Inghilterra, capace però di restituire la conformazione originale degli anni Trenta. Per la Fiera, invece, Woods ha scelto l’Harrogate Showground nello Yorkshire, arricchendolo con dettagli d’epoca come un autentico Helter Skelter del 1906.

In Downton Abbey, anche nel suo finale, la vera protagonista è però ancora la casa, il Castello di Highclere scelto nel 2009 dopo aver visitato oltre quaranta dimore. “Il piano inferiore è un film in bianco e nero, il piano superiore in technicolor”, spiega Woods, rivelando il principio che ha guidato l’estetica della serie sin dal primo episodio. Le cucine, buie e affollate, diventano la “sala macchine” della tenuta, contrapposte agli ambienti luminosi e solenni dei piani nobili. È in questo equilibrio tra quotidiano e straordinario che si gioca l’identità visiva della saga.

I costumi ispirati da da Chanel, Vionnet e Lanvin

Impossibile questa volta non parlare dei costumi del film. Per Anna Robbins, costumista di Downton Abbey, ogni nuova sceneggiatura è una lista di desideri che prende vita. Silhouette allungate, tagli in sbieco, tessuti che cadono naturali: la moda femminile abbandona rigidità e orli corti per ritrovare una grazia più sofisticata. Parallelamente, la sartoria maschile ridisegna le proporzioni, con spalle più ampie e vita assottigliata.

Robbins si muove tra autenticità storica e invenzione cinematografica, lasciandosi ispirare da Chanel, Vionnet e Lanvin. Dalla prima trae omaggi raffinati – come un abito etereo in pizzo color pesca per Lady Mary – mentre dalla seconda prende spunto per un cappotto pistacchio in velluto, moderno e poetico. “Volevo osare e uscire di scena col botto”, racconta.

La ricerca è minuziosa: archivi fotografici, musei, moodboard che tappezzano il reparto costumi. Ascot diventa un tripudio di cappelli e chiffon estivi… Alla Fiera della Contea, invece, prevalgono stampe e tessuti di campagna, con quasi cinquecento costumi cuciti in un tendone nello Yorkshire. E al Ballo di Petersfield, tutto culmina in un abito rosso fuoco per Mary, vibrante e prezioso, impreziosito da diamanti autentici.

Ma il costume, in Downton Abbey, non è mai pura estetica: racconta percorsi interiori. Lady Mary passa da colori forti a tinte più tenui, segno della sua vulnerabilità; Edith e Mary si scambiano i registri cromatici, come a sottolineare l’inversione dei loro destini. Anche i domestici vivono un’evoluzione: uniformi sobrie, ma abiti della domenica che riflettono aspirazioni nuove, piccoli dettagli che segnalano cambi di status.

Dopo dieci anni, Robbins riconosce che la forza del progetto sta nella collaborazione tra reparti e nella fiducia reciproca con il cast. Insieme, hanno costruito un mondo riconoscibile e amatissimo, dove ogni cucitura e tessuto, ogni spazio e ambiente contribuisce ad accompagnare lo spettatore nel cambiamento socio-culturale realmente in atto negli anni.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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