Squid Game, la serie Netflix che è già cult

Da settimane non si parla d’altro e non sono mancate le polemiche. Ma perché “Squid Game” è diventata una delle serie imperdibili della stagione appena conclusa?

C’è tanta letteratura che precede la fortunata serie Squid Game, che nel giro di poche settimane è diventato un vero e proprio cult, con fenomeni di delirio sui social e il passaparola ad amplificarne la risonanza.
C’è ad esempio Il Prigioniero, la serie britannica del 1967, interpretata da Patrick McGoohan, che ne fu anche il creatore insieme a George Markstein. Ma prima ancora il film Essi vivono di John Carpenter del 1988; in tempi più recenti – dal 2004 al 2010 – il fortunato serial Lost, creato da J. J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber. Per tacere dei tanti romanzi e della science fiction, con Orwell in prima linea, ma anche Richard Matheson e Philip Dick, che hanno dato vita a questo filone. We are all in the game”, siamo tutti nel gioco, è il filo conduttore che attraversa questi prodotti.

LA TRAMA DI SQUID GAME

Anche in Squid Game, letteralmente Il gioco del calamaro, gli ingredienti che compongono lo scenario della distopia ci sono tutti. C’è un’isola deserta, ci sono personaggi inquietanti e una simbologia oscura, c’è un super cattivone a fare da ago della bilancia, un’estetica pop e surreale, la tecnocrazia, una casa di bambole tra Escher e Lego, il discrimine tra infanzia tradita e età adulta. La trama narrativa, con puntate l’una tira l’altra distribuite a livello globale da Netflix, concertata dal regista Hwang Dong-hyuk, deve la sua fortuna anche al riconoscimento unanime nel mondo della cinematografia sudcoreana, alla quale nell’ultimo decennio si devono parecchi capolavori, ratificato dall’Oscar al film Parasite di Bong Joon-ho.

SQUID GAME E LE POLEMICHE

Sullo sfondo di Squid Game c’è la società sudcoreana con le sue nevrosi, discriminazioni sociali, debolezze, ma anche la sua cultura e tradizione, che passa dal cibo, raccontato sempre con minuzia, dai giochi, dalle consuetudini, dai sentimenti non facili tra nord e sud Corea. E naturalmente dalle storie personali dei protagonisti, i cui ritratti sono costruiti molto bene, in un balance perfetto tra realismo e fantapolitica.
Ma non sono mancate le polemiche da parte di alcuni settori, in particolare fra chi si occupa di formazione: la serie, infatti, ha avuto una incredibile diffusione anche tra i più piccoli, con preoccupanti fenomeni di emulazione. L’addiction è assicurata per i grandi, ma per i ragazzi a quale prezzo? Intanto la notizia di una seconda serie è più che ufficiosa. Come anticipato dal suo ideatore, Hwang Dong-hyuk, nel video twittato da The Associated Press, infatti, la nuova stagione sarebbe già in fase di scrittura. Secondo i rumors potrebbe essere girata entro l’anno e uscire nel 2023.

Santa Nastro

Corea del Sud, 2021-in produzione
SOGGETTO:  Hwang Dong-hyuk
GENERE: azione, thriller
CAST: Lee Jung-jae, Park Hae-soo, Jung Ho-yeon, Oh Yeong-su
STAGIONI: I | EPISODI: 9
DURATA: 32’-62’ a episodio

Versione aggiornata dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #63

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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