Venezia 78: The power of dog, il film della Campion senza regia (premio migliore regia)

Un film senza regia, che tuttavia ha vinto il premio per la Migliore Regia. Un film che sin dal primo giorno della 78esima Mostra del Cinema ha diviso la critica tra esaltazione e grande delusione. È The power of Dog di Jane Campion, forse tra i titoli più attesi di questa edizione. Dodici anni dopo […]

Un film senza regia, che tuttavia ha vinto il premio per la Migliore Regia. Un film che sin dal primo giorno della 78esima Mostra del Cinema ha diviso la critica tra esaltazione e grande delusione. È The power of Dog di Jane Campion, forse tra i titoli più attesi di questa edizione. Dodici anni dopo il suo ultimo film, Bright Star, la regista neozelandese torna sul grande schermo con un post-western psicologico, a novembre in cinema selezionati e su Netflix dal 1 dicembre, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967. The power of Dog racconta di personaggi incastrati in loro stessi in un western ruvido e caldo quasi da cartolina. Un film dall’andamento lento, lentissimo che solo sulla scena finale assume una valenza in più e che anche per questo manca di pathos e sentimento. I suoi protagonisti sono Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee lasciati un po’ sospesi, senza una vera direzione o approfondimento. C’è da chiedersi ‘che fine ha fatto Jane Campion’? Eppure questo film andrà a premi.

The Power of Dog, un film di Jane Campion

The Power of Dog, un film di Jane Campion

DAL LIBRO AL FILM

The power of Dog è ambientato negli anni ’20 e vede al centro della storia una coppia di ricchi fratelli, i Burbank. Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons) sono proprietari di un enorme ranch in Montana, uno di quelli isolati e affascinanti che dominano sulla vallata. I due sono molto diversi tra loro, un vero opposto. Phil è un uomo brillante ma al tempo stesso crudele, con un atteggiamento prepotente e violento, mentre George è una persona testarda e puntigliosa, ma sempre gentile nei modi e nei pensieri. Quando George sposa in segreto la vedova Rose (Kirsten Dunst), Phil non accetta la cosa, non accetta di avere una estranea in casa, e inizia una guerra spietata contro la stessa usando suo figlio meschinamente il giovane Peter (Kodi Smit-McPhee) come infima e pungente pedina. Jane Campion sembra approcciare a questa storia, a questo libro, effettivamente molto maschile, in molto scostante e distaccato. È sicuramente una storia meno di azione e più di psiche, e se il libro ha la capacità di catturare l’attenzione del lettore, il film non ha lo stesso livello di gradimento. Manca qualcosa, manca quel qualcosa di emotivo che deve trascinare nel racconto, nei 125 minuti di narrazione che altrimenti finisce con l’essere confusa e in attesa di significato.

The Power of Dog, un film di Jane Campion

The Power of Dog, un film di Jane Campion

PERSONAGGIO E INTERPRETAZIONE DI CUMBERBATCH

Il vero tassello vincente di The power of Dog è Benedict Cumberbatch. Straordinario in ogni movenza, atteggiamento espressivo e parola. Non sufficiente però a reggere la storia. Il suo personaggio è nel film quello più affascinante. Così scontroso, distaccato, anche rosicone, da creare un briciolo di empatia. È freddo, distaccato ma al tempo stesso, come tutti, ha delle debolezze nascoste. Si nasconde dietro un maschilismo estremo, scorretto, da condanna. “È il risultato di come è cresciuto, emerge momento dopo momento”, racconta l’attore. “Lo capisco, non giudico né condivido, ma lo capisco. […] Il maschilismo tossico lo riconosci. Persone danneggiate danneggiano gli altri. Anche i politici lo fanno: ognuno deve affrontare i propri problemi, non rinchiudere il mostro e buttare via la chiave”. Il personaggio di Benedict Cumberbatch seppur con diverse sfumature e a tratti magnetico, da solo non rende giustizia a un racconto che di per sé aveva e avrebbe avuto grande potenziale.

PAROLA ALLA CAMPION

Il commento ufficiale della regista: “rimanere affascinata dallo straordinario romanzo di Thomas Savage è stata pura gioia, ma non avevo mai pensato di farne un film, visti i tanti personaggi maschili, e i temi profondamente maschili. Mi sono invece chiesta quale regista l’autore, con la sua mascolinità ambigua, avrebbe voluto, e a poco a poco ho avuto la sensazione che lui mi appoggiasse un braccio sulla spalla, dicendomi: “Una pazza che è arrivata ad amare questa storia? Sì, è perfetta”. Ho messo tutta me stessa nel grandioso racconto di Savage, ne sono stata conquistata. In Phil ho sentito l’amante, e la sua tremenda solitudine. Ho percepito l’importanza e la forza di ogni singolo protagonista, e il modo in cui ciascuno si rivela alla fine. Sono onorata di condividere questo film con veri spettatori, in un cinema reale”.

Margherita Bordino

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Margherita Bordino

Margherita Bordino

Classe 1989. Calabrese trapiantata a Roma, prima per il giornalismo d’inchiesta e poi per la settima arte. Vive per scrivere e scrive per vivere, se possibile di cinema o politica. Con la valigia in mano tutto l’anno, quasi sempre in…

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