Cartography, la rivista di viaggio più bella che ci sia è italiana

È nata nel 2016 ed è giunta alla settima uscita. È la rivista “Cartography”, splendido prodotto de-dicato ai viaggi, con testi di qualità, foto magnifiche, destinazioni e itinerari scelti con massima cura.

In occasione dell’uscita del settimo numero della rivista Cartography, abbiamo intervistato Luca De Santis e Paola Corini, founding publisher di un progetto che fa sognare.

Siete nati nel 2016, in anni in cui, per l’ennesima volta, si decretava la morte della carta, delle riviste ancora più che dei libri. Come ha avuto origine l’idea?
Nell’epoca delle poche letture retroilluminate, dove tutto si consuma fugacemente, abbiamo sentito l’esigenza di creare un oggetto contenitore nel quale selezionare e archiviare narrazioni di viaggio. È un modo, come altri, di comprendere il mondo in cui viviamo. E poi riviste e libri, di qualità, ci mettono di buon umore.

Il legame fra editoria e letteratura di qualità e viaggi è stato rinnovato in maniera eccellente dal lavoro della casa editrice Humboldt Books, anch’essa milanese, nata nel 2012. È stata in qualche modo una fonte di ispirazione?
Conosciamo e stimiamo il lavoro della casa editrice Humboldt Books, tra l’altro Giovanna Silva ha collaborato a uno dei primi numeri di Cartography con un reportage su Venezia. Per noi Giovanna è soprattutto una grande viaggiatrice e periodicamente ci aggiorniamo sui rispettivi spostamenti e ricerche.

Restando a Milano: ritenete che attualmente ci sia un buon ecosistema in città? Se sì (ma anche se no), per quali ragioni?
Abbiamo sempre amato Milano, ci ha adottato nel migliore dei modi, negli ultimi vent’anni siamo diventati adulti con lei. Per noi è sempre stata una città aperta e fruibile, crediamo sia l’area geografica meno nazionalista e più cosmopolita del nostro Paese, una stratificazione nevralgica di composti organici e artificiali dove attingere costantemente sotto il punto di vista creativo, sociale e antropologico. E lo sarà sempre di più.

I primi numeri di Cartography

I primi numeri di Cartography

Ogni numero di Cartography si articola intorno a tre reportage, connotati dal numero di giorni necessari per ripercorrere il viaggio. Come scegliete destinazioni e tempo di permanenza?
Leggendo libri, ascoltando musica e storie di altri viaggiatori. Una volta attraversammo il mare di Bering dall’Alaska alla Russia, a bordo, sulla stessa nave, un signore in pensione di oltre ottant’anni, tedesco, elegante, snello come una scultura di Giacometti, per tutta la vita aveva costruito lenti Zeiss e viaggiato ovunque nel mondo, ritornandoci più volte e in tutte le stagioni (altro che noi). Il suo sguardo sembrava provenisse proprio da una delle sue lenti, era così preciso e definito nel descrivere odori, volti, fiumi che non potemmo far altro che seguire il suo consiglio e studiare una delle sue destinazioni.

La rivista è di grande formato, da collezione. Però in allegato c’è una più agile Travel Guide che sintetizza le suggestioni della rivista vera e propria. È un modo per rendere realmente fruibili i consigli di viaggi? Quali sono i feedback di chi ha seguito i vostri itinerari?
Oltre a un lato più intimo e personale di raccontare il viaggio, abbiamo cercato di dare al lettore anche una guida pratica per orientarsi e programmare il viaggio: ristoranti, alberghi, luoghi da visitare, articolati giorno per giorno. Chi ha ripercorso i nostri itinerari e ce l’ha fatto sapere, sembra ancora entusiasta.

Parliamo della sostenibilità di una iniziativa come la vostra: come si sostiene? Quali sono i costi? Come si fa a diventare una azienda vera?
Oltre al classico spazio pubblicitario sul cartaceo (e prossimamente sul web), il progetto Cartography si sostiene attraverso collaborazioni e progetti speciali con aziende del settore privato e pubblico. Principalmente ci occupiamo di direzione creativa e produzione video. L’oggetto rivista rimane molto costoso per la scelta di carta e stampa di qualità e la produzione dei contenuti.

Estratto da Cartography #7, New York City, testo Sam Reiss, photo Adrianna Glaviano. Courtesy Cartography

Estratto da Cartography #7, New York City, testo Sam Reiss, photo Adrianna Glaviano. Courtesy Cartography

Capitolo distribuzione: a parte realtà come Reading Room ed Edicola 518, quali sono i canali che avete scelto?
Realtà simili in Europa e nel mondo, ovvero piccole librerie specializzate in fotografia e editoria indipendente, come 0Fr a Parigi, Under The Cover a Lisbona, Bruno a Venezia, McNally Jackson a New York City. Inoltre siamo presenti negli artbook di musei internazionali come Palais de Tokyo a Parigi e MoMA PS1 a Long Island City NY. Il passaparola sul nostro progetto è veicolato anche da festival culturali come il Festivaletteratura di Mantova o da realtà come Stack Magazine.

Quali sono i problemi maggiori che avete incontrato sulla vostra strada?
Alcune delusioni di varia natura, all’inizio far quadrare i conti, adesso continuare a mantenere (e aumentare) la qualità. Fino ai tre anni di vita in Italia una srl è considerata start-up e non è avvantaggiata in alcun modo. Ma, come ci insegna Walter Gropius, non bisogna vedere le cose per come sono, ma per quello che potrebbero divenire.

Quale consiglio vi sentite di dare a chi, oggi e da giovanissimo, volesse dedicarsi all’editoria?
Gli diremmo di non pensare per destinazioni, per luoghi familiari. Come in una lezione di Kandinskj, inviteremmo i nostri alunni ad andare verso l’ignoto e, da lì, a porsi domande e iniziare a progettare. In qualsiasi lavoro, sicuramente in uno editoriale, di puntare anzitutto alla qualità.

Come dialogano carta e web nella logica dell’editoria indipendente? Perché secondo voi il meglio va su carta e solo in misura molto limitata sul web?
È solo questione di tempo e di educazione. Noi veniamo dalla cultura analogica con i suoi tempi lenti e riflessivi, ci hanno educato a pensare alla nascita di un oggetto non programmandone la morte – qualsiasi oggetto sia, da un’automobile a un ponte, da una penna a una sedia, da un’opera d’arte a una rivista – perché duri nel tempo. Da molti anni non è più esattamente così, tutto deve durare poco per essere consumato in fretta e sostituito in fretta, è la nuova regola del mercato globale. Un tempo questa filosofia consumistica veniva applicata soltanto al sistema moda, adesso anche altri settori hanno adottato questo approccio. Così le menti delle nuove generazioni sono formate per programmare la nascita, e, al tempo stesso, la morte dei loro oggetti, di conseguenza dei loro pensieri. A cambiare non sono solo le cose e i mezzi, sono anche le relazioni tra individui, più disimpegnate.
Tornando alla domanda, cerchiamo di stare al passo con questa trasformazione, ma rimaniamo romantici.

Marco Enrico Giacomelli

https://bycartography.com/

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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